10 ottobre 2009

DOMENICA 11 OTTOBRE

IV Domenica di S. Luca
Memoria dei Ss. Padri del VII Concilio Ecumenico


Il VII Concilio Ecumenico fu convocato a Nicea nel 787, su richiesta del papa Adriano I, dall'imperatrice d'Oriente Irene, per deliberare sul culto delle immagini. Il concilio si riunì, sotto la presidenza del patriarca di Costantinopoli Tarasio, nella chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli nel 786. La maggior parte dei vescovi presenti era iconoclasta, ed una irruzione dell’esercito nella chiesa, applaudita dai vescovi, costrinse l’assemblea a sciogliersi. L’imperatrice Irene allora epurò l’esercito, contrario alle immagini, e per maggiore sicurezza trasferì il concilio a Nicea. Così i lavori ripresero il 28 settembre 787. Ai lavori presenziarono circa 300 vescovi, tutti appartenenti all’Impero, ed un folto gruppo di monaci ed abati. L’Italia meridionale era rappresentata da una quindicina di vescovi, gli unici che non avevano partecipato negli anni precedenti alle lotte iconoclaste. Il papa Adriano I inviò due legati, entrambi di nome Pietro. Degli altri patriarcati, Gerusalemme non poté inviare nessuno, mentre ancora oggi gli storici discutono se i rappresentanti di Alessandria e di Antiochia fossero autorizzati dai loro patriarchi rispettivi. A Nicea si tennero sette sedute, mentre l’ultima ebbe luogo a Costantinopoli, nel palazzo imperiale, ove gli imperatori firmarono solennemente gli atti e le decisioni conciliari (23 ottobre 787). All’inizio del concilio fu letta la lettera del papa Adriano I, che esponeva il punto di vista occidentale a proposito delle immagini sacre. Questa lettera venne applaudita dai padri conciliari. Gli storici fanno notare che gli oppositori al culto delle immagini, che rappresentavano una parte non esigua dell’assemblea, per tutta la durata del concilio non fecero più sentire la propria voce; questo perché all’inizio del concilio, furono posti davanti a una scomoda scelta: o continuare nel sostenere l’iconoclastia, e di conseguenza essere deposti dalle loro sedi episcopali, oppure pentirsi, accettare il culto delle immagini, e solo allora potevano partecipare al concilio, conservando però un saggio silenzio. Il Concilio arrivò ad una definizione che pose chiarezza nei termini e decise la netta differenza tra “venerazione” delle immagini, ammessa, e “adorazione”, assolutamente rifiutata, perché solo Dio può essere adorato. Fu chiarito inoltre che la venerazione delle immagini significa la venerazione delle persone rappresentate e non delle icone materiali in quanto tali.

« Definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione. … L'onore reso all'immagine passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l'immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto. »

TROPARI
Della Domenica: Quando discendesti nella morte, o vita immortale, allora mettesti a morte l’ade con la folgore della tua divinità; e quando risuscitasti i morti dalle regioni sotterranee, tutte le schiere delle regioni celesti gridavano: O Cristo datore di vita, Dio nostro, gloria a te.

Dei Ss. Padri: Tu sei più che glorioso, o Cristo Dio nostro, tu che hai stabilito come astri sulla terra i padri nostri, e per mezzo loro ci hai guidati tutti alla vera fede: o tu che sei pieno di ogni compassione, gloria a te.

Della titolare della Parrocchia: Nel parto, hai conservato la verginità, con la tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio. Sei passata alla vita, tu che sei Madre della vita e che con la tua intercessione riscatti dalla morte le anime nostre.

Kontakion: Il purissimo tempio del Salvatore, il talamo preziosissimo e verginale, il tesoro sacro della gloria di Dio, è oggi introdotto nella casa del Signore, portandovi, insieme, la grazia del divino Spirito; e gli angeli di Dio a lei inneggiano: Costei è celeste dimora.

EPISTOLA (Tito 3,8-15):
Diletto figlio Tito, questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista in queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini. Guàrdati invece dalle questioni sciocche, dalle genealogie, dalle questioni e dalle contese intorno alla legge, perché sono cose inutili e vane. Dopo una o due ammonizioni sta’ lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stessa.
Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico, cerca di venire subito da me a Nicòpoli, perché ho deciso di passare l’inverno colà. Provvedi al viaggio di Zena, il giureconsulto, e di Apollo, che non manchi loro nulla. Imparino così anche i nostri a distinguersi nelle opere di bene riguardo ai bisogni urgenti, per non vivere una vita inutile. Ti salutano tutti coloro che sono con me. Saluta quelli che ci amano nella fede. La grazia sia con tutti voi!

VANGELO (Lc. 8,5-15):
Disse il Signore questa parabola: Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità. Un’altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono. Un’altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto. Detto questo, esclamò: Chi ha orecchi per intendere, intenda!. I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola. Ed egli disse: A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano. Il significato della parabola è questo: Il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell’ora della tentazione vengono meno. Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione. Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza. Avendo detto queste cose, esclamò: Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Commento al Vangelo:
La parabola del seminatore costituisce il perno di un discorso di Gesù che ha per tema la Parola. La parabola non intende descrivere la natura della Parola, ma il suo cammino nell’uomo e nella storia. Il protagonista non è il seminatore, che compare all’inizio (“il seminatore uscì a seminare…”) e subito dopo scompare. Il protagonista è il seme, che è il soggetto di tutte le affermazioni. Viene così raccontata la vicenda del seme, non del seminatore. Ma questa storia è raccontata proprio al seminatore, cioè a colui che annuncia la Parola, non a colui che l’ascolta. Degli ascoltatori, cioè dei terreni nei quali cade il seme, si parlerà dopo, nella spiegazione, non direttamente nella parabola. Dall’evidente insistenza sulla sfortuna del contadino (il seme per ben tre volte non frutta e solo una volta, alla fine, frutta!) si intuisce la situazione in cui Gesù ha raccontato la parabola e la comunità successiva l’ha riletta continuamente: una situazione di insuccesso, in cui la fatica del seminatore appare troppe volte inutile e il fallimento della Parola totale o quasi. Al discepolo predicatore che può sentirsi sfiduciato a causa dei molti insuccessi, la parabola riconosce che gli insuccessi ci sono, anche ripetuti, ma assicura che una parte del seme porterà frutto. Al seminatore è richiesta non soltanto la fede nella verità della parola, ma la fiducia nella sua efficacia. Nella spiegazione che viene data, la parabola sembra cambiare direzione: non più un invito alla fiducia rivolto agli annunciatori del messaggio, ma un avvertimento rivolto a coloro che lo ricevono. La Parola, caduta nel cuore degli uomini, va incontro a vicende diverse. Ci sono uomini che neppure arrivano ad accettarla. Alcuni l’accettano, ma presto l’abbandonano. Altri l’accettano, ma la vita della Parola è in essi perennemente ostacolata. Altri, infine, permettono alla Parola di esplodere in tutta la sua vitalità. Nella spiegazione della parabola Luca sottolinea, a differenza di Matteo e Marco, la quotidianità degli ostacoli all’accoglienza della Parola: non la “persecuzione” (che è sempre un fatto eccezionale), né la “gran sofferenza” (di cui ha parlato Gesù e che avverrà alla fine dei tempi), ma le “prove” comuni, quotidiane. Evidentemente Luca vive un’esperienza ancora più amara di Matteo e Marco: i credenti fuggono non soltanto di fronte alla persecuzione, ma anche di fronte ai problemi della vita di ogni giorno.


4a SETTIMANA DI SAN LUCA

12 – L – Ss. Probo, Taraco e Andronico, martiri
Fil. 2,12-16a Lc. 7,36-50

13 – M – Ss. Carpo e Papilo, martiri
Fil. 2,16c-23 Lc. 8,1-3

14 – M – Ss. Nazario, Gervasio, Protasio e Celso, martiri – S. Cosma poeta, vescovo di Maiumà, cittadino della Città santa
Fil. 2,24-30 Lc. 8,22-25

15 – G – S. Luciano, presbitero della grande Antiochia
Fil. 3,1-8 Lc. 9,7-11

16 – V – S. Longino centurione
Fil. 3,8b-19 Lc. 9,12b-18a

17 – S – S. Osea profeta – S. Andrea in Crisi, martire
2Cor. 1,8-11 Lc. 6,1-10

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