28 novembre 2009

Domenica 29 Novembre 2009

XIII Domenica di S. Luca – S. Paramono martire – S. Filomeno

TROPARI

Della Domenica: Tu lìthu sfraghisthèndos ipò tòn Iudhèon ke stratiotòn filassònton tòn achrandòn su sòma, anèstis triìmeros, Sotìr, dhorùmenos to kosmo tin zoìn; dhià tùto e dhinàmis tòn uranòn evòon si, Zoodhòta: Dhòxa ti anastàsi su, Christè; dhòxa ti vasilìa su; dhòxa tì ikonomìa su, mòne filànthrope.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I Parthènos sìmeron ton proeònion Lògon en spileò èrchete apotekìn aporrìtos; Chòreve i ikumèni, akutisthìsa dhòxason metà Anghèlon ke ton Pimènon vulithènda epofthìne Pedhìon nèon, ton proèonon Thèon.

EPISTOLA (Ef. 5,9-19):
Fratelli, il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare. Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce. Per questo sta scritto: “Svégliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà”. Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio. E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore.

VANGELO (Lc. 18,18-27):
In quel tempo un uomo si avvicinò a Gesù per interrogarlo e disse: “Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?”. Gesù gli rispose: “Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre”. Costui disse: “Tutto questo l’ho osservato fin dalla mia giovinezza”. Udito ciò, Gesù gli disse: “Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi”. Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco. Quando Gesù lo vide, disse: “Quant’è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio! È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio”. Quelli che ascoltavano dissero: “Allora chi potrà essere salvato?”. Rispose: “Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio”.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

Al posto di “Ii to ònoma…”:

Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.

Commento al Vangelo:
Il racconto del ricco che interroga Gesù è sostanzialmente un dialogo: dapprima Gesù risponde al ricco che lo interroga (18,19), poi il suo discorso si allarga a tutti gli ascoltatori (18,26). Infine la sua parola è rivolta al discepolo. L’insegnamento riguarda tutti, ma in particolare Gesù pensa ai suoi discepoli. In questione è il distacco per la sequela e dunque, ancora una volta, si tratta di una riflessione sulla ricchezza. Nel racconto si assiste però a un capovolgimento, che segnala una delle cose più importanti che il discepolo è chiamato a comprendere. Non un distacco ma un guadagno, non un lasciare ma un trovare. La domanda sulle condizioni per ereditare la vita eterna non è certo nuova. Gli alunni la ponevano ai loro maestri: era un punto di discussione e di confronto tra opinioni teologiche diverse. Se il ricco si attendeva da Gesù un’opinione nuova, è rimasto certamente deluso, perché Gesù lo rinvia, infatti, ai comandamenti che già conosce. Può sorprendere il fatto che vengano elencati solo i comandamenti che riguardano il prossimo. E il primato di Dio? In realtà questo primato è già stato affermato con l’espressione iniziale di Gesù: “Nessuno è buono tranne Dio”. Il ricco si dichiara giusto e osservante (18,21), ma la sequela richiede qualcosa di più: “Ancora una cosa ti manca” (18,22). Gesù invita alla sequela un uomo giusto, anche il giusto, infatti, ha un distacco da fare. Luca ne sottolinea, come è sua abitudine, la radicalità: “Vendi tutto quello che hai”, e poi precisa: “Distribuiscilo ai poveri”. Si lascia tutto per condividerlo, il discepolo non è chiamato alla povertà ma alla fraternità. È probabile che Luca, introducendo il verbo “diadidonai” (distribuire), pensi ai tratti di vita comunitaria da lui descritti negli Atti degli Apostoli (2,44-45; 4,34-35). Di fronte all’invito di Gesù, il notabile se ne va “triste”. La molta ricchezza gli impedisce di cercare ciò che gli manca. Anche questo è un pericolo della ricchezza: non lascia spazio di tempo e di libertà per la sequela. Di certo anche se ricchi si può essere giusti, più difficilmente però si può essere discepoli. Il discorso di Gesù ora si allarga e riguarda tutti, ascoltatori e discepoli: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio”. La frase è paradossale e su di essa sono state scritte molte pagine. Che le parole siano dure, lo si deduce dalla sbigottita domanda degli ascoltatori: “Ma allora chi si può salvare?”. L’uomo no ma Dio può salvare, è questione di fede: ciò che non può essere raggiunto con le proprie forze, può essere raggiunto come un dono. Bisogna cambiare il modo di pensare la via della salvezza.

11a SETTIMANA DI SAN LUCA

30 – L – S. Andrea apostolo, il primo chiamato
1Cor. 4,9-16 Gv. 1,35-51

1 – M – S. Naum profeta
1Tim. 5,11-21 Lc. 19,45-48

2 – M – S. Abacuc profeta
1Tim. 5,22-6,11a Lc. 20,1-8

3 – G – S. Sofonia profeta
1Tim. 6,17-21 Lc. 20, 9-18

4 – V – S. Barbara megalomartire – S. Giovanni Damasceno
Gal. 3,23-4,5 Mc. 5,24-34

5 – S – S. Saba il santificatoGal. 5,22-6,2 Mt. 11,27-30

22 novembre 2009

22 Novembre 2009



IX Domenica di S. Luca
Ss. Filemone apostolo ed Appia, Archippo e Onesimo, seguaci di Paolo – Ss. Cecilia, Valeriano e Tiburzio, martiri – Giornata di sensibilizzazione per il sostentamento del clero

PRIMA ANTIFONA:
Mègas Kìrios, ke enetòs sfòdhra en pòli tu Theù imòn, en òri aghìo aftù.

SECONDA ANTIFONA:
Ighìase to skìnoma aftù o Ipsistos.

TERZA ANTIFONA:
To pròsopòn su litanèvsusin i plùsii tu laù.

Sìmeron tis evdhokìas Thèu to proìmion ke tis ton anthròpon sotirìas i prokìrixis; en naò tu Theù tranòs i Parthènos dhìknite ke ton Christòn tis pàsi prokatanghèlete. Aftì ke imìs megalofònos voìsomen: Chère tis ikonomìas tu Ktìstu i ekplìrosis.

TROPARI:

Della Domenica: Ex ìpsus katìlthes o Efsplachnos, tafìn katedhèxo triìmeron, ìna imàs elefthèrosis ton pathòn: I zoì ke i Anàstasis imòn, Kìrie, dhòxa si.

Della festa: Sìmeron tis evdhokìas…

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O katharòtatos naòs tu Sotìros, i politìmitos pastàs ke Parthènos, to ieròn thisàvrisma tis dhòxis tu Thèu, sìmeron isàghete en to ìko Kirìu, tin chàrin sinisàgusa tin en Pnèvmati thìo: in animnùsin àngheli Theù; àfti ipàrchi skinì epurànios.

EPISTOLA (Ef. 4,1-7):

Fratelli, vi esorto io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.


VANGELO (Lc. 12,16-21):

In quel tempo disse il Signore questa parabola: “La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio”. Avendo detto queste cose, esclamò: “Chi ha orecchie per intendere, intenda”.

MEGALINARIO:
Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

KINONIKON:
Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

Al posto di “Ii to ònoma…” si canta:
Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.

Commento al Vangelo:
La parabola di Gesù non si limita a constatare la vanità delle cose e non intende disincantare l’uomo liberandolo dal fascino del possesso. Indica più profondamente la vera via della liberazione: “Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce per Dio”. Ma che significa in concreto arricchire “per Dio?”. Nel greco l’espressione è un moto a luogo (“verso Dio”) e indica perciò una direzione. Dunque non si tratta di arricchire a vantaggio di Dio, ma di usare i beni secondo una logica da Lui voluta.

21 Novembre2009

INGRESSO AL TEMPIO DELLA SS. MADRE DI DIO

PRIMA ANTIFONA:
Mègas Kìrios, ke enetòs sfòdhra en pòli tu Theù imòn, en òri aghìo aftù.

SECONDA ANTIFONA:
Ighìase to skìnoma aftù o Ipsistos.

TERZA ANTIFONA:
To pròsopòn su litanèvsusin i plùsii tu laù.

Sìmeron tis evdhokìas Thèu to proìmion ke tis ton anthròpon sotirìas i prokìrixis; en naò tu Theù tranòs i Parthènos dhìknite ke ton Christòn tis pàsi prokatanghèlete. Aftì ke imìs megalofònos voìsomen: Chère tis ikonomìas tu Ktìstu i ekplìrosis.

TROPARI:

Della festa: Sìmeron tis evdhokìas…

Kontàkion: O katharòtatos naòs tu Sotìros, i politìmitos pastàs ke Parthènos, to ieròn thisàvrisma tis dhòxis tu Thèu, sìmeron isàghete en to ìko Kirìu, tin chàrin sinisàgusa tin en Pnèvmati thìo: in animnùsin àngheli Theù; àfti ipàrchi skinì epurànios.

EPISTOLA (Eb. 9,1-7):

Fratelli, la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita infatti una Tenda: nella prima, vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta: essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo poi c’era una Tenda, detta Santo dei Santi, con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne che aveva fiorito e le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che facevano ombra al luogo dell’espiazione. Di tutte queste cose non è necessario ora parlare nei particolari. Disposte in tal modo le cose, nella prima Tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrarvi il culto; nella seconda invece solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per i peccati involontari del popolo.

VANGELO (Lc. 10,38-42.11,27-28):
In quel tempo Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma così Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono!”.

MEGALINARIO:
Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

KINONIKON:
Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

OPISTHAMVONOS:
Tis lalìsi tas dhinastìas su, Kìrie, tis akustàs piìsi pàsas tas enèsis tis perì imàs su agathòtitos, òti to mistìrion to apokekrimmènon ex eònos tis epì sotirìan tu ghènus ton anthròpon tu monoghènus su pedhòs enanthropìseos faneròse vulòmenos, ke tin pros ton profìtin Davìd epanghelìan su is tèlos prothèmenos agaghìn, tin agnìn exelèxo Mitèra su is katìkisin tis dhià sarkòs su epifanìas, af’ìs proelthòn to omìo to òmion èsosas, ke dhi’aftù ex aftìs proslìmmatos òlu tu ghènus tin anàplasin epragmatèfso; is ke nin tin sevasmìan eortàzondes imèran tis en to Naò isòdhu, efcharistùmen si to dhotìri ton agathòn, ke dheomethà su dhi’aftìs epifàne to prosopòn su ef’imàs ke gnorìse imìn odhòn, en i porefthèndes evarestisomèn su tin agathòtiti, rìsasthe imàs ton tu dhiavòlu epivulòn, ke odhighìse pros tin tis dhià metanìas sotirìan, ke en fedhròtiti psichìs eortàzin tin aghìan tàftin eortìn. Theòs gar elèus ke paraklìseos ipàrchis, ke si tin dhòxan anapèmbomen, to Patrì, ke to Iiò, ke to Aghìo Pnèvmati, nìn, ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

Al posto di “Ii to ònoma…” si canta:
Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.

Commento al Vangelo:
Luca ha collocato questo episodio subito dopo la parabola del samaritano per illustrare le due facce dell’unico comandamento: l’amore per il prossimo e l’amore per il Signore. Nei confronti del prossimo il servizio e la carità, nei confronti del Signore l’ascolto e il discepolato. Le parole con le quali Gesù risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto. Il servizio della tavola non è più importante dell’ascolto della Parola, come suggerisce anche un passo degli Atti degli Apostoli (6, 1-2). Affannarsi e agitarsi è l’atteggiamento dei pagani (12,29), non perché è pagano l’oggetto della ricerca (in questo caso Dio e il prossimo), ma è pagano il modo di cercare: affannoso, inquieto, agitato. La ragione di tanta agitazione sono le “troppe cose” (10,41), la tensione, cioè tra il troppo e l’essenziale, il secondario e il necessario. Il troppo è sempre a scapito dell’essenziale. Le troppe cose impediscono non soltanto l’ascolto, ma anche il vero servizio. Fare molto è segno di amore, ma può anche far morire l’amore. L’ospitalità ha bisogno di compagnia, non soltanto di cose. Perfino il troppo “dare”, anche per amore, rischia di togliere spazio alle relazioni. Una donna del popolo, colpita dal gesto di Gesù, è entusiasta e grida forte la propria ammirazione (11, 27-28). È un’ammirazione che si esprime in modi tipicamente femminili, e nasce dalla capacità di intuire la bellezza e l’orgoglio di essere madre di un simile figlio. Gesù, però, corregge quell’entusiasmo: non è la parentela fisica che conta, ma unicamente l’adesione di fede, l’ascolto e l’osservanza della Parola.

13 novembre 2009

15 Novembre 2009

VIII Domenica di S. Luca – Ss. Guria, Samona e Abibo, martiri e confessori

TROPARI

Della Domenica: Katèlisas to Stavrò su ton thànaton; inèoxas to listì ton Paràdhison; ton Mirofòron ton thrìnon metèvales, ke ti sis Apostòlis kirìttin epètaxas: òti anèstis, Christè o Theòs, parèchon to kòsmo to mèga èleos.

Dei martiri: Ta thàvmata ton Aghìon su Martìron tìchos akatamàchiton imìn dhorisàmenos, Christè o Theòs, tes aftòn ikesìes, vulàs ethnòn dhiaskedhàson, tis vasilìas ta skìptra kratèoson, os mònos agathòs ke filànthropos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O katharòtatos naòs tu Sotìros, i politìmitos pastàs ke Parthènos, to ieròn thisàvrisma tis dhòxis tu Thèu, sìmeron isàghete en to ìko Kirìu, tin chàrin sinisàgusa tin en Pnèvmati thìo: in animnùsin àngheli Theù; àfti ipàrchi skinì epurànios.

EPISTOLA (Ef. 2,14-22):

Fratelli, Cristo è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito.

VANGELO (Lc. 10,25-37):

In quel tempo un dottore della legge si avvicinò a Gesù per metterlo alla prova e disse: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?” Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. E Gesù: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.

Commento al Vangelo:
Il tema del discepolato continua con un quesito posto da un dottore della legge che chiede a Gesù cosa debba fare per avere la vita eterna. La risposta di Gesù indica quale dovrebbe essere la condotta del vero discepolo. Le due direzioni dell’amore – a Dio e al prossimo – si toccano profondamente, ma non al punto da far scomparire la differenza. La misura dell’amore di Dio è la totalità, la misura dell’amore del prossimo è “come te stesso”. Anche nell’amore Dio resta Dio e il prossimo resta il prossimo. La scriba ha risposto bene perché si è riferito a un testo del Deuteronomio e a un testo del Levitico, ma il Dottore della legge desidera che il concetto di “prossimo” sia ulteriormente precisato perché vuole essere sicuro di ottenere la vita eterna. Nella parabola, un sacerdote e un levita, evitano di soccorrere il ferito, non tanto per durezza di cuore, quanto piuttosto per il desiderio di mantenere la propria purezza cultuale. Era infatti prescritto – ai sacerdoti che prestavano servizio al tempio – di mantenersi puri, e il sangue contaminava. Ma Gesù fa intendere che il culto non deve essere a scapito della carità e la purezza che Dio vuole è la purezza dal peccato, dall’ingiustizia, non dal sangue di un ferito. È chiaro che Gesù non intende negare il valore del culto e della preghiera, ma vuole semplicemente ricordare che occorre stare attenti che il culto non distragga dai doveri dell’amore e della giustizia. Come modello Gesù non prende un fariseo osservante ma un samaritano disprezzato. Nella parabola nulla è detto del ferito: non viene evidenziata la sua identità, ma il suo bisogno. Il “prossimo” è qualsiasi bisognoso che ci capita di incontrare, anche uno sconosciuto. Questa universalità della nozione di prossimo ha il suo fondamento nell’intero vangelo e cioè nell’universalità dell’amore di Dio. Il problema non è tanto quello di chiedersi chi sia il nostro prossimo, quanto piuttosto quello di farsi prossimo di chiunque si incontra sulla propria strada.

9a SETTIMANA DI SAN LUCA

16 – L – S. Matteo apostolo ed evangelista
INIZIA LA QUARESIMA DEL NATALE
1Cor. 4,9-16 Mt. 9,9-13

17 – M – S. Gregorio il taumaturgo, vescovo di Neocesarea
2Tes. 1,10b-2,2 Lc. 14,25-35

18 – M – Ss. Platone e Romano, martiri
2Tes. 2,1-12 Lc. 15,1-10

19 – G – S. Abdia profeta – S. Barlaam martire
2Tes. 2,13-3,5 Lc. 16,1-9

20 – V – S. Gregorio Decapolita – S. Proclo, arcivescovo di Costantinopoli
2Tes. 3,6-18 Lc. 16,15-18.17,1-4

21 – S – INGRESSO AL TEMPIO DELLA SS. MADRE DI DIO
Giornata Mondiale delle Claustrali
Eb. 9,1-7 Lc. 10,38-42.11,27-28

8 novembre 2009

DOMENICA 8 NOVEMBRE2009

VII Domenica di S. Luca – Sinassi dei condottieri supremi Michele e Gabriele, e delle altre potenze incorporee – Giornata del Ringraziamento

TROPARI

Della Domenica: Anghelikè Dhinàmis epì to mnìma su, ke i filàssondes apenekròtisan; ke ìstato Marìa en to tàfo zitùsa to àchrandòn su sòma. Eskìlefsas ton Adhin mi pirasthìs ip’aftù, ipìndisas ti Parthèno, dhorùmenos tin zoìn. O anastàs ek ton nekròn, Kìrie, dhòxa si.

Dei condottieri supremi: Ton uranìon stratiòn Archistràtighi, dhisopùmen imàs imìs i anàxii, ìna tes imòn dheìsesi tichìsite imàs, skèpi ton pterìgon tis aìlu ìmon dhòxis frurùndes imàs prospìptontas ektenòs ke voòndas: Ek ton kindhìnon litròse imàs, os taxiàrche ton àno Dhinàmeon.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O katharòtatos naòs tu Sotìros, i politìmitos pastàs ke Parthènos, to ieròn thisàvrisma tis dhòxis tu Thèu, sìmeron isàghete en to ìko Kirìu, tin chàrin sinisàgusa tin en Pnèvmati thìo: in animnùsin àngheli Theù; àfti ipàrchi skinì epurànios.

EPISTOLA (Eb. 2,2-10):

Fratelli, se la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, come potremo scampare noi se trascuriamo una salvezza così grande? Questa infatti, dopo essere stata promulgata all’inizio dal Signore, è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l’avevano udita, mentre Dio testimoniava nello stesso tempo con segni e prodigi e miracoli d’ogni genere e doni dello Spirito Santo, distribuiti secondo la sua volontà. Non certo a degli angeli egli ha assoggettato il mondo futuro, del quale parliamo. Anzi, qualcuno in un passo ha testimoniato: Che cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui o il figlio dell’uomo perché tu te ne curi? Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.

Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nel più alto dei cieli.

Lodatelo voi tutti sui angeli; lodatelo voi tutte sue schiere.

VANGELO (Lc. 8,41-56):
In quel tempo venne un uomo di nome Giàiro, che era capo della sinagoga; gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di recarsi a casa sua, perché aveva un’unica figlia, di circa dodici anni, che stava per morire. Durante il cammino, le folle gli si accalcavano attorno. Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscita a guarire, gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito il flusso di sangue si arrestò. Gesù disse: “Chi mi ha toccato?”. Mentre tutti negavano, Pietro disse: “Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia”. Ma Gesù disse: “Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me”. Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l’aveva toccato, e come era stata subito guarita. Egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata, va’ in pace!”. Stava ancora parlando quando venne uno della casa del capo della sinagoga a dirgli: “Tua figlia è morta, non disturbare più il maestro”. Ma Gesù che aveva udito rispose: “Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata”. Giunto alla casa, non lasciò entrare nessuno con sé, all’infuori di Pietro, Giovanni e Giacomo e il padre e la madre della fanciulla. Tutti piangevano e facevano il lamento su di lei. Gesù disse: “Non piangete, perché non è morta, ma dorme”. Essi lo deridevano, sapendo che era morta, ma egli, prendendole la mano, disse ad alta voce: “Fanciulla, alzati!”. Il suo spirito ritornò in lei ed ella si alzò all’istante. Egli ordinò di darle da mangiare. I genitori ne furono sbalorditi, ma egli raccomandò loro di non raccontare a nessuno ciò che era accaduto.


Commento al Vangelo:
Ancora il tema della fede emerge in questi due miracoli, alla donna Gesù dice: “La tua fede ti ha salvata”, al padre della fanciulla morta dice: “Soltanto abbi fede e sarà salvata”. Aver fede è riconoscere la propria impotenza e, al tempo stesso, riconoscere che la potenza del Signore può salvare. La fede è il rifiuto di contare su di sé per contare unicamente su Dio. La legge ebraica dichiarava impura una donna che aveva perdita di sangue, e impuro diventava tutto ciò che essa toccava. Una donna da evitare, dunque. Col gesto di toccare la veste di Gesù, essa chiede la guarigione e Gesù gliela concede strappandola dall'anonimato in cui lei voleva rimanere. Rendendo pubblico il suo gesto, Gesù vuole che si sappia che per lui quella donna non è impura. La donna ha chiesto la guarigione, Gesù le offre anche l’accoglienza, un dono che la donna non avrebbe mai osato chiedere, perché implicava il superamento di una legge ritenuta inviolabile. Chiedendolo, sarebbe stato come invitare Gesù a fare qualcosa di illecito. Rileggendo l’episodio della risurrezione della figlia di Giairo, ci si accorge che la parola chiave è detta da Gesù: “La bambina non è morta ma dorme”. Per il credente la morte è un sonno in attesa della risurrezione: “Bambina alzati”: egheiro, alzarsi, è il verbo della risurrezione. Con qualche sorpresa Gesù dice ai parenti della bambina di non raccontare a nessuno l’accaduto. È il segreto messianico, di cui parla molto il vangelo di Marco, ma che è presente, sia pure sommessamente, anche in Luca. Gesù teme di essere frainteso. Non bastano i miracoli per comprendere chi Egli sia. Per capire gli stessi miracoli nel loro vero e profondo significato occorre aspettare la Croce.

8a SETTIMANA DI SAN LUCA

9 – L – Ss. Onesiforo e Porfirio, martiri – S. Matrona – S. Teoctista di Lesbo
1Tes. 2,20-3,8 Lc. 12,13-15.22b-31

10 – M – Ss. Olimpas, Rodione, Sosipatro, Terzo, Erasto e Quarto, apostoli – S. Oreste martire
1Tes. 3,8b-13 Lc. 12,42-48

11 – M – Ss. Mena, Vincenzo, Vittore e Corona, martiri – S. Teodoro Studita, confessore – S. Bartolomeo da Rossano
Gal. 5,22-6,2 Mt. 11,27-30

12 – G – S. Giovanni l’elemosiniere, arcivescovo di Alessandria – S. Nilo
2Cor. 9,6-11 Lc. 13,1-9

13 – V – S. Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli
Eb. 7,26-8,2 Gv. 10,9-16

14 – S – S. Filippo apostolo
Atti 8,26-39 Gv. 1,43-51

1 novembre 2009

2 Novembre 2009

Commemorazione dei Defunti secondo il calendario romano

Si avvisano i nostri lettori che la celebrazione della Divina Liturgia presso il nostro Cimitero si terrà alle ore 10,00

Avviso celebrazioni per il mese di novembre

L' orario della celebrazione della Divina Liturgia per il mese dedicato alla memoria dei nostri cari defunti è il seguente:

Feriale: ore 17,30 Rosario dei defunti
ore 17,45 Divina Liturgia
Festivo: ore 9,00 Divina Liturgia (Chiesa di S. Giovanni)
ore 11,00 Divina Liturgia (in Parrocchia)
ore 17,30 Rosario dei defunti
ore 17,45 Ufficiatura Liturgica

I° NOVEMBRE 2009

V° Domenica di S. LucaSs. Cosma e Damiano, anàrgiri

Giornata per la santificazione universale

Da antiche memorie sappiamo che i due santi erano fratelli e medici. Sono detti anàrgiri perché curavano gli infermi senza essere ricompensati. Si propongono come capofila, corifei e protettori del fiorente volontariato cattolico, nella diaconia della carità.


TROPARI
Della Domenica: Ton sinànarchon Lògon Patrì ke Pnèvmati, ton ek Parthènu techthènda is sotirìan imon, animnìsomen pistì ke proskinìsomen; òti ivdhòkise sarkì, anelthìn en to stavrò, ke thànaton ipomìne, ke eghìre tus tethneòtas, en ti endhòxo Anastàsi aftù.

Dei santi: Aghii Anàrghiri ke thavmaturghì, episkèpsasthe tas asthenìan imòn: dhoreàn elàvete, dhòrean dhòte imìn.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O katharòtatos naòs tu Sotìros, i politìmitos pastàs ke Parthènos, to ieròn thisàvrisma tis dhòxis tu Thèu, sìmeron isàghete en to ìko Kirìu, tin chàrin sinisàgusa tin en Pnèvmati thìo: in animnùsin àngheli Theù; àfti ipàrchi skinì epurànios.

Epistola (1Cor. 12,27-13,8):
Fratelli, voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.

Vangelo (Lc. 16,19-31):
Disse il Signore: “C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”.

Commento al Vangelo:
In questo racconto riportato solo da Luca, Gesù si rivolge ai farisei, i quali pensavano di essere giusti solo perché osservavano meticolosamente la legge (11,37). Nella parabola c’è un duplice contrasto, al primo: il ricco e il povero, ne segue un secondo: il ricco all’inferno e Lazzaro nel regno di Abramo. Il primo elemento saliente della parabola è proprio questo capovolgimento: Dio giudica diversamente da noi e la storia va a finire diversamente da come i furbi immaginano. Aggiungiamo che, con ogni probabilità, viene qui contestata una convinzione diffusa in quel tempo: la ricchezza è segno della benevolenza di Dio. La parabola vuole, invece, insegnare che Dio è dalla parte dei più poveri e degli abbandonati. Ma il racconto parabolico non si ferma qui. Segue un secondo quadro, nel quale è detto qualcosa di molto importante. Il ricco vorrebbe che i suoi fratelli fossero avvertiti della sua situazione, ma a quale scopo? Hanno Mosé, i profeti, non occorre altro. Gli insegnamenti non mancano, ciò che invece manca è il coraggio, la fede, ma soprattutto la libertà per vedere e comprendere. Chi vive da ricco è cieco e non vede il povero che pure gli sta accanto. Il ricco della parabola non osteggia Dio e non opprime il povero: semplicemente non lo vede. Ma proprio questo è il grave pericolo: il vivere da ricchi rende ciechi e indifferenti.

7a SETTIMANA DI SAN LUCA

2 – L – Ss. Acindino, Pegasio, Aftonio, Elpidoforo e Anempodisto, martiri
1Tes. 1,1-5 Lc. 11,29-33

3 – M – Ss. Acepsimà, Giuseppe ed Aitalà, martiri – Memoria della dedicazione del tempio del santo megalomartire Giorgio a Lidda, cioè della deposizione del suo corpo venerabile
1Tes. 1,6-10 Lc. 11,34-41

4 – M – S. Giovanniccio il Grande, dell’Olimpo – Ss. Nicandro vescovo di Mira e Ermeo presbitero, ieromartiri
1Tes. 2,1-8 Lc. 11,42-46

5 – G – Ss. Galazione e Episteme sua consorte, martiri
1Tes. 2,9-14a Lc. 11,47-12,1

6 – V – S. Paolo, arcivescovo di Costantinopoli, confessore
1Tes. 2,14-20 Lc. 12,2-12

7 – S – Ss. 33 martiri di Melitene – S. Lazzaro taumaturgo, che ha vissuto nell’ascesi sul monte Galesio
2Cor. 8,1-15 Lc. 9,1-6