30 gennaio 2010

31 GENNAIO 2010
Domenica del Figliol Prodigo – Ss. Ciro e Giovanni, taumaturghi e anàrgiri – Giornata dei malati di lebbra


TROPARI

Della Domenica:
Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir i-pàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O Mìtran Parthenikìn aghiàsas to tòko su, ke chìras tu Simeòn evloghìsas, os èprepe, profthàsas ke nin èsosas imàs, Christè o Theòs. All’irìnevson en polèmis to polìtevma, ke kratèoson tus pistùs us igàpisas, o mònos filànthropos.

EPISTOLA (1Cor. 6,12-20)

Fratelli, “Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla. “I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!”. Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite la prostituzione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impudicizia, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio della Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

VANGELO (Lc. 15,11-32)

Disse il Signore questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliele dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

OPISTHAMVONOS

Sovrano Signore Dio nostro, Padre della gloria, che per la nostra salvezza hai mandato in questo mondo il tuo unigenito Figlio e per suo mezzo ci hai adottati per figli, concedendoci la grazia d’invocarti Padre, anche ora abbi pietà di noi peccatori per aver trasgredito i tuoi comandamenti. Non ci perdere ora che ci troviamo lontani da te, né ci privare delle tue grazie spirituali; ma concedici di accostarci a te con la bocca e col cuore, di mostrarci con le buone opere figli degni dell’adozione concessaci, e di imitare il ritorno del figliol prodigo, nel quale ci hai manifestato l’ineffabile tua bontà, affinché raggiungiamo quei beni eterni che tu hai preparato a coloro che amano la tua volontà. Sii invincibile compagno del pio nostro Sovrano assoggettandogli nemici e avversari. Per la grazia e la bontà dell’Unigenito tuo Figlio col quale sei benedetto insieme con il santissimo, buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Commento al Vangelo:
Da qualunque angolatura si guarda la parabola del figliol prodigo, ci si accorge che al centro c’è sempre la figura del padre, che dà unità all’intera narrazione. Il punto su cui la parabola concentra l’attenzione è come Dio si pone di fronte ai due figli – il peccatore e il giusto – e come i due figli si pongono davanti a Lui. In ambedue i casi, c’è un netto contrasto; qui sta la novità della teologia di Gesù. È in gioco il vecchio e il nuovo, il vino e gli otri, non c’è spazio per alcun rattoppo. L’attenzione, dunque, indugia sulla figura del padre. Egli non cessa di amare il figlio che si è allontanato e continua ad attenderlo. A lui non interessa che il figlio gli abbia dissipato il patrimonio. Ciò che lo addolora è che il figlio sia lontano, a disagio. Quando il figlio ritorna, il padre gli corre incontro e gioisce del suo ritorno; quel figlio deve subito capire che nulla è cambiato nei suoi confronti: è un figlio, come sempre e quella casa è la sua casa. È questo il vero volto di Dio, il volto di un padre e basta, che Gesù ha inteso rivelare con la sua incondizionata accoglienza dei peccatori. Il figlio minore esce di casa non perché ha bisogno di lavoro (il padre è ricco, ha campi e braccianti), ma perché vuole organizzarsi una vita indipendente. Lo stare in casa gli pesa come una schiavitù. Un vero padre è amore, ma è sempre anche legge. E questo può a volte insinuare nei figli che egli sia un padrone, anziché un padre. Il peccato del figlio non è la vita libertina condotta lontano da casa. Questa è la conseguenza di un peccato precedente e più profondo, il peccato di pensare alla casa come a una prigione, la presenza del padre come ingombrante e mortificante e l’allontanamento dal padre come libertà. Questo è il vero peccato, la radice di tutte le infedeltà. Ma è proprio con la partenza da casa che inizia la degradazione: una vita disordinata, poi la fame, poi il servizio presso un padrone pagano, poi l’umiliazione di pascolare i porci. Questo disagio del figlio peccatore non è un castigo inflitto dal padre (o da Dio), ma è una situazione in cui il figlio stesso si è posto. Un disagio che serve per risvegliare la sua coscienza e difatti il cammino di ritorno inizia con un mutamento interiore. Questo figlio non conosce ancora suo padre: è convinto di aver perso l’amore del padre e che debba di nuovo meritarselo lavorando come un servo. E invece il padre non ha mai smesso di amarlo, e quando il figlio gli chiede perdono, non lo lascia neppure parlare: il suo amore è prima del pentimento del figlio. Il padre è completamente diverso da come il figlio immaginava. La veste più bella, l’anello al dito, i calzari sono tutti segni dell’essere figlio. Il padre glieli offre prontamente, ma non per dirgli: sei di nuovo mio figlio, ma per dirgli: lo sei sempre stato. Il figlio maggiore, anziché godere della gioia del padre, ne prova irritazione. La gioiosa accoglienza riservata al fratello minore gli dà l’amara sensazione che la sua fedeltà di rimanere in casa sia del tutto sprecata. Se il peccatore è trattato in quel modo, a che serve essere giusti? Questo figlio giusto e osservante non conosce suo padre e ragiona come se la fedeltà fosse un peso e la compagnia del padre una fatica. Assomiglia agli scribi e farisei che mormoravano perché Gesù accoglieva i peccatori. Lo stesso amore che ha spinto il padre a correre incontro al figlio minore, lo spinge ora a uscire e a pregare il figlio maggiore di lasciar perdere le proprie rimostranze e di far festa insieme. Il padre vorrebbe riunire i due figli, unendoli a sé e tra di loro. Vorrebbe che scoprissero la sua paternità e la loro fraternità. Così è Dio. Il figlio maggiore si è lasciato convincere? È entrato in casa a far festa? Non lo sappiamo. La conversione del giusto è, a volte, più difficile di quella del peccatore.

22 gennaio 2010

24 GENNAIO 2010
Domenica del Pubblicano e del Fariseo – S. Xenia

TROPARI

Della Domenica: Tu lìthu sfraghisthèndos ipò tòn Iudhèon ke stratiotòn filassònton tòn achrandòn su sòma, anèstis triìmeros, Sotìr, dhorùmenos to kosmo tin zoìn; dhià tùto e dhinàmis tòn uranòn evòon si, Zoodhòta: Dhòxa ti anastàsi su, Christè; dhòxa ti vasilìa su; dhòxa tì ikonomìa su, mòne filànthrope.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O Mìtran Parthenikìn aghiàsas to tòko su, ke chìras tu Simeòn evloghìsas, os èprepe, profthàsas ke nin èsosas imàs, Christè o Theòs. All’irìnevson en polèmis to polìtevma, ke kratèoson tus pistùs us igàpisas, o mònos filànthropos.

EPISTOLA (2Tim. 3,10-15)

Diletto figlio Timoteo, tu mi hai seguito da vicino nell’insegnamento, nella condotta, nei propositi, nella fede, nella magnanimità, nell’amore del prossimo, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze, come quelle che incontrai ad Antiòchia, a Icònio e a Listri. Tu sai bene quali persecuzioni ho sofferto. Eppure il Signore mi ha liberato da tutte. Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati. Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati nello stesso tempo. Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l’hai appreso e che fin dall’infanzia conosci le sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù.

VANGELO (Lc. 18,10-14)

Disse il Signore questa parabola: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così fra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e nep¬pure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.

Commento al Vangelo:
Il fariseo è un osservante scrupoloso della legge e il suo torto non sta nell’ipocrisia, ma nella fiducia nella propria giustizia. Si ritiene in credito presso Dio: non attende la sua misericordia, la sua salvezza come un dono, ma piuttosto come un premio dovuto per il dovere compiuto. Difatti la sua preghiera si concentra su di sé e si confronta con gli altri, giudicandoli duramente. In questo atteggiamento non c’è nulla di preghiera. Non chiede nulla e Dio non gli dà nulla. L’atteggiamento del pubblicano, invece, è esattamente l’opposto di quello del fariseo. Dice infatti la verità: fa gli interessi dei romani invasori ed è esoso nell’esigere i tributi. La sua umiltà non consiste nell’abbassarsi, ma nella consapevolezza di essere peccatore e nel sentirsi bisognoso di cambiamento e, soprattutto, sa di non poter pretendere nulla da Dio. Conta su Dio non su se stesso, è questa l’umiltà di cui parla la parabola ed è questo l’atteggiamento che Gesù loda. La conclusione è chiara e semplice: l’unico modo corretto di mettersi di fronte a Dio – nella preghiera e nella vita – è quello di sentirsi costantemente bisognosi del suo perdono e del suo amore. Le opere buone le dobbiamo fare, ma non è il caso di vantarle. Come pure non è il caso di fare confronti con gli altri. Il confronto con i peccati degli altri, per quanto veri essi siano, non ci avvicina a Dio.

17a SETTIMANA DI S. LUCA

25 – L – S. Gregorio il teologo, arcivescovo di Costantinopoli
Eb. 7,26-8,2 Gv. 10,9-16

26 – M – S. Senofonte e compagni
2Pt. 2,9-22 Mc. 13,14-23

27 – M – Traslazione delle reliquie del nostro santo padre Giovanni Crisostomo
Eb. 7,26-8,2 Gv. 10,9-16

28– G – S. Efrem il siro
Gal. 5,22-6,2 Lc. 6.17-23a

29 – V – Traslazione delle reliquie del santo ieromartire Ignazio il teòforo
1Gv. 2,7-17 Mc. 14,3-9

30 – S – S. Ippolito ieromartire, papa di Roma – Ss. Basilio il grande, Gregorio il teologo e Giovanni Crisostomo
Eb. 13,7-16 Mt. 5,14-19

16 gennaio 2010

17 GENNAIO 2010
XV Domenica di S. Luca – S. Antonio il Grande – Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei – Giornata del migrante e del rifugiato


Sant’Antonio fu eremita e fondatore del monachesimo orientale. Nacque a Coma (Egitto) nel 250. Dopo la morte dei genitori distribuì le sue sostanze ai poveri e si diede alla via ascetica ritirandosi nel deserto. Attratti dalla sua santità, cominciarono ad affluire a lui visitatori ed imitatori, finché la regione si popolò di eremitaggi sotto la sua direzione. Verso la fine della sua vita ritornò ad Alessandria per combattervi gli ariani. Predisse la propria morte avvenuta all’età di 105 anni nel 355.

TROPARI

Della Domenica: Ex ìpsus katìlthes o Efsplachnos, tafìn katedhèxo triìmeron, ìna imàs elefthèrosis ton pathòn: I zoì ke i Anàstasis imòn, Kìrie, dhòxa si.

Del Santo: Ton zilotìn Ilìan tis tròpis mimùmenos, to Vaptistì evthìes tes trìvis epòmenos, pàter Antònie, tis erìmu ghègonas ikistìs, ke tin ikumènin estìrixas evchès su. Dhiò prèsveve Christò to Theò sothìne tas psichàs imòn.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O Mìtran Parthenikìn aghiàsas to tòko su, ke chìras tu Simeòn evloghìsas, os èprepe, profthàsas ke nin èsosas imàs, Christè o Theòs. All’irìnevson en polèmis to polìtevma, ke kratèoson tus pistùs us igàpisas, o mònos filànthropos.

EPISTOLA (Eb. 13,17-21)

Fratelli, obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi, come chi ha da renderne conto; obbedite, perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi. Pregate per noi, poiché crediamo di avere una buona coscienza, desiderando di com-portarci bene in tutto. Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché possa esservi restituito al più presto. Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché pos-siate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amìn.

VANGELO (Lc. 19,1-10)

In quel tempo Gesù, entrato in Gèrico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormo-ravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.

MEGALINARIO DI SANT’ANTONIO

Ton tis metanìas kathighitìn, ke ton tis erìmu, poliùchon ke ikistìn, ton pì-rinon stìlon, ton lìchnon tu Ilìu, Antònion ton mègan, pàntes timìsomen.

Commento al Vangelo:
Zaccheo è la figura del peccatore convertito, la cui conversione testimonia che “ciò che è impossibile per gli uomini, è possibile per Dio” (18,27). Anche il ricco può diventare un testimone del Regno. Zaccheo è anche la figura della potenza di Dio che sa trasformare un uomo facendogli cambiare vita: “Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua”. Si noti la delicatezza delle parole di Gesù, che non dice: scendi perché voglio convertirti, ma: voglio essere tuo ospite. Gesù sembra farsi bisognoso per avere poi la possibilità di perdonare. Gesù accoglie Zaccheo prima della conversione. Non è la conversione che determina la simpatia di Gesù, ma è l’amore di Gesù verso i peccatori che suscita la conversione. L’incontro con Dio è sempre, e allo stesso tempo, un dono e il compimento di una ricerca. L’incontro con Gesù cambia la vita. Il pubblicano Zaccheo è la figura del discepolo cristiano che non lascia tutto, come altri, ma rimane nella propria casa, continuando il proprio lavoro, testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto, ma la giustizia (“restituisco quattro volte tanto”) e la condivisione (“dò la metà dei miei beni ai poveri”). C’è il discepolo che lascia tutto per farsi annunciatore itinerante del Regno e c’è il discepolo che vive la medesima radicalità restando nel mondo a cui appartiene. Il racconto di Zaccheo riunisce i motivi che costituiscono le strutture della conversione.
1) La prima è la “fretta”: l’occasione è vicina e bisogna afferrarla subito, non c’è tempo da perdere: “Zaccheo scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua; in fretta scese e lo accolse pieno di gioia”.
2) Poi la disponibilità, cioè la ricerca, il desiderio: Zaccheo cerca di vedere, ma non gli riesce a causa della folla. Gesù approfitta di questa disponibilità di Zaccheo per inserirsi nella sua vita e cambiarla.
3) In terzo luogo, la “rinuncia”, cioè il distacco dalle proprie ricchezze per distribuirle ai poveri.
4) Infine la “gioia”. Incontrare Gesù e accogliere la sua proposta è come trovare la perla per la quale vale la pena di vendere tutto, gioiosamente, convinti non di perdere ma di aver trovato.
Infine Luca non si dimentica di ricordarci che anche questo gesto di misericordia ha suscitato scandalo: “Tutti mormoravano”. Come se il Regno fosse solo per i giusti! E invece è il contrario.

16a SETTIMANA DI S. LUCA

18 – L – Ss. Atanasio e Cirillo, arcivescovi di Alessandria
Eb. 13,7-16 Mt. 5,14-19

19 – M – S. Macario l’egiziano – S. Arsenio di Corfù
1Pt. 3,10-22 Mc. 12,18-27

20 – M – S. Eutimio il grande
2Cor. 4,6-15 Lc. 6,17-23b

21 – G – S. Massimo il confessore – S. Neofito martire
Filip. 1,12-20a Lc. 12,8-12

22 – V – S. Timoteo apostolo – S. Anastasio il persiano, martire
2Tim. 1,3-9a Mt. 10,32-33.37-38.19,27-30

23 – S – S. Clemente di Ancira, ieromartire – S. Agatangelo martire
2Tim. 2,11-19 Lc. 18,2-8a

9 gennaio 2010

10 GENNAIO 2010
Domenica dopo la Teofania – S. Gregorio, vescovo di Nissa – S. Marciano, presbitero e economo della grande chiesa – S. Domiziano, vescovo di Melitene

PRIMA ANTIFONA

En exòdho Israìl ex Eghìptu, ìku Iakòv, ek laù varvàru.

SECONDA ANTIFONA

Igàpisa, òti isakùsete Kìrios tis fonìs tis dheiseòs mu.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en Iordhàni ipò Ioànnu vaptisthìs, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Exomologhìsthe to Kirìo, oti agathòs, òti is ton eòna to èleos aftù.

En Iordhàni vaptizomènu su Kìrie, i tis Triàdhos efaneròthi proskìnisis; tu gar Ghennìtoros i fonì prosemartìri si, agapitòn se Iiòn onomàzusa; ke to Pnèvma en ìdhi peristeràs evevèu tu lògu to asfalès. O epifanìs, Christè o Theòs, ke ton kòsmon fotìsas, dhòxa si.

ISODHIKON

Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu; Theòs Kìrios, ke epèfanen imìn.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en Iordhàni ipò Ioànnu vaptisthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TROPARI

Della Domenica: Katèlisas to Stavrò su ton thànaton; inèoxas to listì ton Paràdhison; ton Mirofòron ton thrìnon metèvales, ke ti sis Apostòlis kirìttin epètaxas: òti anèstis, Christè o Theòs, parèchon to kòsmo to mèga èleos.

Della festa: En Iordhàni …

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Epefànis sìmeron ti ikumèni, ke to fos su, Kìrie, esimiòthi ef’imàs en epignòsi imnùndas se: Ìlthes, efànis, to fos to apròsiton.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allilùia.

EPISTOLA (Ef. 4,7-13)

Fratelli, a ciascuno di noi, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. Ma che significa la parola “ascese”, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose. È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finchè arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.

VANGELO (Mt. 4,12-17)

In quel tempo, Gesù, avendo saputo che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea e, lasciata Nàzaret, venne ad abitare a Cafàrnao, presso il mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Il paese di Zàbulon e il paese di Nèftali, sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; ma quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata. Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, ton en Iordhàni elthònda vaptisthìne. O ton ipèr nun tu tòku su thavmàton Nìnfi pànaghne, Mìter evloghimèni. Dhi‘ is tichòndes pandelùs sotirìas, epàxion krotùmen os everghèti dhòron fèrondes ìmnon evcharistìas.

KINONIKON

Epefàni i chàris tu Theù, i sotìrios pàsin anthròpis. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

En Iordhàni…

APOLISIS

O en Iordhàni vaptisthìne ipò Ioànnu katadhexàmenos, dhià tin imòn sotirìan ke anastàs ek nekròn…

Commento al Vangelo:
Siamo all’inizio del Vangelo di Matteo. Dopo l’introduzione costituita dal “Vangelo dell’infanzia”, la missione di Gesù – preparata dalla predicazione del Battista (3, 1-12), dal battesimo al Giordano (3, 13-17) e dalle tentazioni nel deserto (4, 1-11) – ha finalmente inizio. Matteo collega esplicitamente il ministero pubblico di Gesù con il Battista, anzi Gesù inizia la sua missione proprio quando Giovanni interrompe la sua predicazione: “Avendo saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si ritirò nella Galilea”. Gesù inizia la sua missione in continuità ideale con il Battista: “convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. L’annotazione dell’evangelista “avendo saputo che Giovanni era stato arrestato” va oltre il semplice significato cronologico. È già una prefigurazione della sorte che attende lo stesso Gesù: come tutti i profeti e come Giovanni Battista, anch’egli subirà il martirio. Secondo la tradizione, il luogo in cui Giovanni battezzava non era lontano dalla foce del Giordano nel Mar Morto, e Gesù subito dopo il battesimo si sarebbe ritirato a pregare sul “Monte della Quarantena” a ovest di Gerico, ai margini del deserto di Giuda. In quale luogo Gesù comincia la predicazione? Abbiamo già detto che Gesù da Nazaret era sceso nella Giudea per farsi battezzare da Giovanni nel fiume Giordano. Dalla Giudea, dopo i quaranta giorni di preghiera nel deserto, “saputo dell’arresto di Giovanni”, Gesù si sposta in Galilea, non più a Nazaret (la sua città) ma a Cafàrnao, sulla riva settentrionale del lago di Tiberiade. Queste annotazioni (“si ritirò nella Galilea e venne ad abitare a Cafàrnao”) non obbediscono a un semplice desiderio di precisazione geografica, ma riporta un fatto che senza dubbio costituì per le attese religiose del tempo una sorpresa, se non uno scandalo. Difatti era logico aspettarsi che l’annuncio messianico partisse dal cuore del giudaismo, cioè da Gerusalemme, e invece partì da una regione periferica, generalmente disprezzata e ritenuta contaminata dal paganesimo (“Galilea dei Gentili"). Tanto è vero che Matteo sente il bisogno di spiegare questa scelta di Gesù, citando per esteso un passo del profeta Isaia e per Matteo il compimento di un’antica profezia è il segno rivelatore del messianismo di Gesù: un messianismo universale che rompe con decisione ogni forma di particolarismo. L’annuncio di Gesù è riassunto da Matteo in una formula identica a quella del Battista, ed è di estrema sintesi: “Convertitevi perché il Regno di Dio è vicino”. Questo aspetto programmatico di Gesù sottintende il programma della Chiesa. Gesù afferma due cose che sono esattamente le due azioni fondamentali della sua missione: annunciare il Vangelo e chiamare dei discepoli. E la seconda è subordinata alla prima: i discepoli vengono scelti e preparati dal Signore perché dopo di lui il Vangelo sia annunciato a tutti gli uomini. Questo annuncio (“Convertitevi, perché…”) è la parola che tutti gli uomini hanno diritto di ascoltare, perché è la verità che si aspettano nel profondo del loro cuore, anche quando credono di non credere, anche quando bestemmiano il suo nome. Perché questo Dio (regno) “vicino” dice un’attenzione paterna, una presenza piena di premura verso l’uomo. “È vicino” vuol dire che lo puoi toccare con mano, sperimentare: è Gesù il regno, in lui Dio si fa vicino agli uomini per sanarli dai loro mali, per introdurli nella verità. L’annuncio di Gesù, accompagnato da gesti che lo confermano appieno, suscita negli uditori, come vedremo più avanti, due atteggiamenti contrastanti: l’accoglienza e il rifiuto, conversione ma anche negazione. La missione di Gesù provoca salvezza ma anche indurisce i cuori: la verità di Dio non vuole imporsi alla coscienza dell’uomo, e proprio questo genera anche quel rifiuto ostile che culminerà nel progetto di eliminare Gesù sulla Croce.

4 gennaio 2010

06 GENNAIO
SANTE TEOFANIE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO

“Diamo il nome di Epifania a questo giorno”, dice S. Giovanni Crisostomo, “perché la grazia salutare del Signore si è manifestata a tutti gli uomini. Ora, perché è non il giorno della nascita, ma quello in cui ha ricevuto il battesimo che chiamiamo Epifania? Perché la sua manifestazione a tutti gli uomini non data dalla sua nascita, ma dal suo battesimo, dal momento che fino ad allora molti non lo avevano conosciuto”.
La Chiesa Bizantina, per designare questa solennità, usa i termini “Epifania” e “Teofania”, che indicano la manifestazione della divinità, ma predilige tuttavia la denomi-nazione datale da S. Gregorio Nazianzeno: “Festa delle Luci”.
Questa definizione è al tempo stesso trinitaria e cristologica. Vediamo brevemente in che modo.
Cristo è venuto per essere la luce del mondo che illumina quelli che erano nelle tenebre.
Dice, infatti, Proclo di Costantinopoli: “Il Cristo apparve al mondo, lo illumina e lo riempie di gioia, santifica le acque e spande la luce nelle anime degli uomini. Il sole di giustizia apparve e dissipò le tenebre dell’ignoranza. Il Figlio unico del Padre si è manifestato a noi e ci dà, mediante il battesimo, la qualità di figli di Dio”. Questa frase compendia il mistero dei Padri Greci sulla miseria del peccatore che consiste essenzialmente nell’ignoranza della fede: il Cristo apre per sempre “le porte della Luce a coloro che, figli delle tenebre e della notte, aspirano a divenire figli del giorno e della luce”.
La nostra professione di fede, il Credo, contiene la formula “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero” proprio perché nel Giordano si è manifestata la Luce, la SS.ma Trinità, "mentre Gesù scendeva nell’acqua, il fuoco si accese nel Giordano”, e quando fu battezzato, una grande luce emerse dall’acqua e s’irradiò intorno, così che tutti i presenti furono colti da timore”.
La combinazione luce e fuoco,cole elementi rivelatori della presenza divina, si trova in diverse circostanze nell’Antico Testamento: sta scritto, infatti: “Il Signore andava innanzi a loro (…) in colonna di fuoco per far loro luce affinché potessero camminare (…) di notte”. Illuminava le tenebre e li conduceva al Mar Rosso, il cui passaggio è prefigurazione del Battesimo: il battesimo è passaggio, è illuminazione, è nascita dell’essere alla luce divina.
Questo è il motivo per cui i neo-battezzati nella Chiesa Bizantina sono chiamati “illuminati”, perché hanno acquisito la Luce che li guida, sono rinati alla vita.
“In Lui era la vita”, dice S. Giovanni Evangelista, “e la vita era la luce degli uomini”.
“La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ep-pure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.
Pertanto l’Ufficiatura è interamente consacrata al Battesimo e la cerimonia della Benedizione delle Acque, che ha luogo in tal occasione, richiama la santificazione di questo elemento basilare del creato operata dal Salvatore: quest’acqua serve per poi benedire le case, i poderi, il bestiame, tutto.
Viene poi dato un vigoroso rilievo alla funzione rivelatrice del Verbo incarnato e si comprende la predilezione dei Bizantini per il titolo di “Festa delle Luci” non come una pura preferenza terminologica, ma come un’espressione più aderente ai motivi teologici della loro spiritualità e mentalità.

PRIMA ANTIFONA

En exòdho Israìl ex Eghìptu, ìku Iakòv, ek laù varvàru.

SECONDA ANTIFONA

Igàpisa, òti isakùsete Kìrios tis fonìs tis dheiseòs mu.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en Iordhàni ipò Ioànnu vaptisthìs, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Exomologhìsthe to Kirìo, oti agathòs, òti is ton eòna to èleos aftù.

En Iordhàni vaptizomènu su Kìrie, i tis Triàdhos efaneròthi proskìnisis; tu gar Ghennìtoros i fonì prosemartìri si, agapitòn se Iiòn onomàzusa; ke to Pnèvma en ìdhi peristeràs evevèu tu lògu to asfalès. O epifanìs, Christè o Theòs, ke ton kòsmon fotìsas, dhòxa si.

ISODHIKON

Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu; Theòs Kìrios, ke epèfanen imìn.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en Iordhàni ipò Ioànnu vaptisthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TROPARI

En Iordhàni …

Epefànis sìmeron ti ikumèni, ke to fos su, Kìrie, esimiòthi ef’imàs en epignòsi im-nùndas se: Ìlthes, efànis, to fos to apròsiton.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allilùia.

EPISTOLA (Tito 2,11-14.3,4-7)

Diletto figlio Tito, è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con so-brietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone. Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.

VANGELO (Mt. 3,13-17)

In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora, poiché convie-ne che così adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, ton en Iordhàni elthònda vaptisthìne. O ton ipèr nun tu tòku su thavmàton Nìnfi pànaghne, Mìter evloghimèni. Dhi ‘is tichòndes pandelùs sotirìas, epàxion krotùmen os everghèti dhòron fèrondes ìmnon evcharistìas.

KINONIKON

Epefàni i chàris tu Theù, i sotìrios pàsin anthròpis. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

En Iordhàni…

OPISTHAMVONOS

Àfatos i pros imàs su agathòtis, Kìrie o Theòs imòn; òti ton monoghenì su Iiòn evdokìsas ek ghinekòs afthòru enanthropìse, ke katà pànda òmion imìn ghenèsthe chorìs amartìas, ke vaptisthìne os ànthropos dhi’imàs ipò Ioànnu tu Prodhròmu, ton mi chrìzonda kathàrseos, all’ìna, tin ton idhàton fìsin aghiàsas, tin ex ìdhatos ke Pnèvmatos anaghènnisin imìn charìsite, ìna epighnòndes se ton ànarchon Patèra, proskinòmen ton uranòthen aftòn Iiòn agapitòn su anakirìxanda vaptizòmenon, ke to panaghiòn su Pnèvma dhoxàzomen to katavàn ep’aftòn ke faneròsan aftòn to vaptìzondi, en o ke imàs sfraghìsas ke chrìsas dhià tu vaptìsmatos metòchus epìisas tu Christù su; ùper mi isterìsis imàs tus amartolùs, allà dhì’aftù kratèoson ke enìschison imàs katà pàsis poniràs dhinàmeos; ke tus pistùs àrchondas katà pàsis tirannìdos enìschison, ke pàndas imàs is tin vasilìan su odhìghison, ìna ke en imìn dhoxasthì to panàghion onomà su ke tu monoghenùs su Iiù àma to Aghìo su Pnèvmati, nin, ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O en Iordhàni vaptisthìne ipò Ioànnu katadhexàmenos, dhià tin imòn sotirìan…

Commento al Vangelo:
Il battesimo nel Giordano da parte di Giovanni è un evento significativo nella vita di Gesù. È il primo atto pubblico che egli compie da quando avverte la voce dello Spirito che lo chiama ad annunziare la buona novella ai poveri, a predicare a quanti attendevano l’anno di grazia del Signore. Forse è anche la prima volta che si allontana dal suo villaggio, dalla Galilea e arriva fino alle foci del Giordano. Lo scopo era far visita o conoscenza con un predicatore di penitenza che faceva tanto parlare di sé in tutta la regione. Matteo lo dice espressamente: “compare da Giovanni” (3,5). Marco “venne da Giovanni”. Tutto fa pensare che Gesù aveva fatto tanta strada per ascoltare il profeta del deserto. Gesù aveva ascoltato la parola dei profeti nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16). Era diverso però riascoltarla direttamente da un profeta vivente. Si dovrebbe pensare che anche Gesù è in ricerca della volontà di Dio o almeno di un ap-profondimento, di una chiarificazione della sua chiamata profetica. Infatti poco dopo l’evangelista ricorda il suo ritiro nel deserto, i quaranta giorni di digiuno e preghiera, il confronto-scontro con il diavolo, sempre per determinare la linea da percorrere nell’adempimento del suo mandato nel piano di Dio. Si può perciò ipotizzare che an-che questa visita al predicatore del deserto, e forse agli altri asceti che sembra popolassero la zona, sia stata motivata dal desiderio o necessità di trovare una conferma alla “spinta” che sentiva nel suo animo a lasciare il lavoro di carpentiere e dedicarsi all’annunzio della parola di Dio. Il soggiorno nel Giordano non fu un’esperienza inutile. Gesù non sceglierà né la strada di Giovanni, un predicatore chiuso nel suo recinto, tutto proteso a intimorire o a spaventare la gente, né quella dei vicini Esseni, pure essi ben separati dal popolo; ma si metterà in cammino per le contrade della Galilea, insegnando, predicando e guarendo gli infermi che ricorrevano a lui. Sono i quattro verbi con cui Matteo caratterizza la sua attività missionaria (4,23). Gesù non starà ad aspettare la gente ma si muoverà incontro ad essa non per terrorizzarla, ma per liberarla dalle proprie afflizioni e soprattutto dalla paura di Dio, che non era tanto un giudice quanto un “padre” (Mt 6,9). L’esperienza di Gesù nel Giordano, il confronto con Giovanni, ha creato qualche difficoltà ai predicatori cristiani delle origini, in particolare alla comunità di Matteo che si è sentita in dovere di correre ai ripari inserendo nel racconto tradizionale di Mc 1,9 un dialogo tra Gesù e Giovanni (3, 14-15) che ridimensiona la portata del battesimo di Gesù. La notizia “per essere battezzato” poteva far sembrare che Gesù si fosse trovato subordinato a Giovanni, come se fosse al di sotto di lui, e ciò non era ammissibile. Era vero il contrario. Era Giovanni che avreb-be dovuto inginocchiarsi davanti all’“ospite” venuto dalla Galilea e ricevere la remissione dei peccati. L’evangelista, quindi, sente il bisogno di spiegare ai suoi lettori che questo non significa che Gesù fosse un peccatore o, comunque, inferiore a Giovanni. Ma ciò è avvenuto perché “si adempisse ogni giustizia”. In Matteo la parola giustizia indica il piano divino della salvezza, e il verbo compiere contiene un riferimento alle Scritture. Possiamo dire allora che Gesù si sottopose al battesimo perché ciò rientrava nel piano di Dio manifestato nelle Scritture. Ma la diversità tra Gesù e Giovanni emerge dalla concezione diversa di messianismo. Il Messia che viene a farsi battezzare sconcerta Giovanni, che si aspettava un Messia giudice e un battesimo di fuoco. Invece si vede venire incontro un uomo confuso nella folla, non giudice, ma un servo solidale col momento penitenziale del suo popolo. Tutto ciò è confermato anche dalla voce celeste: “Questo è il mio Figlio diletto”, che richiama il passo di Is 42,1. L’uso di questa formula del profeta identifica Gesù con il Servo del Signore. La visione definisce il carattere della messianicità di Gesù; egli non è il Messia regale, conquistatore, ma il Servo sofferente. Così Giovanni e Gesù rappresentano due concezioni messianiche diverse.

2 gennaio 2010

03 GENNAIO 2010
Domenica prima della Teofania – S. Malachia profeta – S. Gordio martire
TROPARI

Della Domenica: Anghelikè Dhinàmis epì to mnìma su, ke i filàssondes apenekròtisan; ke ìstato Marìa en to tàfo zitùsa to àchrandòn su sòma. Eskìlefsas ton Adhin mi pirasthìs ip’aftù, ipìndisas ti Parthèno, dhorùmenos tin zoìn. O anastàs ek ton nekròn, Kìrie, dhòxa si.

Della proeòrtia: Etimàzu, Zavulòn, ke evtrepìzu, Nefthalìm; Iordhàni potamè, stìthi, ipòdhexe skirtòn tu vaptisthìne erchòmenon ton Dhespòtin. Agàllu, o Adhàm, sin ti promìtori; mi krìptete aftùs, os en Paradhìso to prin; ke gar ghimnùs idhòn imàs epèfanen, ìna endhìsi tin pròtin stolìn. Christòs efàni, tin pàsan ktìsin thèlon anakenìse.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: En tis rìthris sìmeron tu Iordhànu ghegonòs o Kìrios, to Ioànni ekvoà. Mi dhiliàsis Vaptìse me sòse gar ìko Adhàm ton Protòplaston.

EPISTOLA (2Tim. 4,5-8)
Diletto figlio Timoteo, vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero. Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione.

VANGELO (Mc. 1,1-8)

Inizio dell’Evangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle intorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: “Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo”.

Commento al Vangelo:

Marco è l'unico evangelista che ha intitolato "Vangelo" ("to euaggelion" = "buona notizia") il suo libro su Gesù Cristo. Nell'intitolare il suo libro "il vangelo", Marco intende affermare che esso non è primariamente un resoconto o una narrazione su Gesù, ma una proclamazione del Cristo risorto, nella quale egli si è reso nuovamente presente. Per questo la Chiesa non si limita a ripetere la predicazione di Gesù, ma fa di Lui (persona e storia) l'oggetto del proprio annuncio. Ciò che segue del vangelo è la buona notizia, che rende nuovamente presente Gesù, Messia e Figlio di Dio, nei vari episodi concernenti il suo ministero terrestre fino alla sua risurrezione. La prima parola scritta da Marco ("inizio") ci dice che il vangelo, la lieta notizia che è Gesù stesso, non è apparso come qualcosa di grandioso: ebbe, invece, un umile inizio e, quindi, uno sviluppo, che solo alla fine apparirà nella sua pienezza: il vangelo percorre la strada del seme che diventa albero. La parola "inizio" è imposto dalla tecnica letteraria per cominciare una qualsiasi composizione, ma essa ricava da Gen, 1,1 una particolare solennità e importanza. Anche Gv. 1,1 ("In principio era il Verbo") cita letteralmente la prima parola della Genesi, e Mt. 1,1 ricorre alla genealogia di Gesù: formula introduttiva della tradizione sacerdotale, per iniziare il suo Vangelo. Quindi, già questa prima parola chiarisce il contenuto dello scritto di Marco: egli parla di un inizio nuovo, voluto da Dio con un intervento irripetibile, nel tempo finito sì, ma di importanza definitiva. Questo inizio nuovo diventa per il lettore che legge con gli occhi della fede, l'inizio nuovo della propria vita. Possiamo tradurre in questo modo questo primo versetto: inizio della lieta notizia che consiste nel fatto che Gesù, che ha condotto una vita umile, che ha scelto il servizio e la croce, è il Messia, è il Figlio di Dio. Il titolo "Figlio di Dio" ha chiaramente il senso teologico pregnante che gli attribuiva la comunità post-pasquale del tempo di Marco. È un titolo che lui usa con sobrietà, ma lo inserisce soprattutto in tre testi importanti: nel Battesimo (1,11), nella Trasfigurazione (9,7) e nella Passione, al momento della professione di fede del Centurione (15,39). Ma quale significato preciso dobbiamo attribuire al titolo "Figlio di Dio?". È proprio per rispondere a questa domanda che Marco racconta la vicenda di Gesù. Chi è Gesù? Marco risponde: "E' il Figlio di Dio", non nella linea della gloria e della potenza ma in quella della povertà e della sofferenza: Gesù rivela la sua figliolanza divina sulla Croce.
Come nella predicazione degli Apostoli anche la proclamazione del Vangelo inizia con il ministero di Giovanni nel deserto. Qui, però, il ministero di Giovanni ha un posto nel vangelo solo in quanto è il preludio voluto da Dio al suo atto salvifico manifestato nella venuta di Gesù, il Messia. La predicazione di Giovanni, infatti, riguarda uno più potente, "più forte" che deve ancora venire. Per costruire il quadro di Giovanni Battista, Marco fa riferimento sia ai testi di Isaia e Malachia, sia all'austero Elia che indossava un "mantello di pelo" (vestito abituale di un profeta) e una "cintura di cuoio" (2 Re 1,8). Il ricorso all'A.T. - allo scopo di collocare la storia di Gesù nel piano della salvezza - fu un costante problema della comunità primitiva. Il riferimento alle Scritture fu una delle chiavi più importanti di cui la comunità si è servita per illuminare l'intelligenza al mistero di Gesù. La caratteristica di fondo della lettura cristiana sta nel fatto che l'attualizzazione delle Scritture e il compimento delle profezie sono concentrate su un personaggio e su un avvenimento decisivo: la Risurrezione. Gesù non è soltanto il maestro che istruisce i discepoli nelle Scritture; Egli è l'oggetto di cui le Scritture parlano. L'Antico Testamento è letto a partire dalla risurrezione, cioè da un fatto, da un avvenimento realmente accaduto, e non semplicemente da una vaga speranza, promessa e mai realizzata. Possiamo, quindi, affermare che Giovanni Battista sia nella sua vita austera che nella sua predicazione si colloca nella grande linea del profetismo veterotestamentario, ma è anche il precursore del Nuovo Testamento. Nella sua vita, Giovanni non coltiva né campi né orti, ma ricava il suo nutrimento dalla steppa, proprio come Israele, che nei suoi 40 anni di peregrinazione viveva soltanto di quel che gli offriva il deserto. Giovanni, dunque, personifica il vero Israele, che vive nel "deserto" e attende colui che dovrà venire, cioè il più forte. Tra Giovanni, il precursore, e Colui che dovrà venire esiste, dunque, una distanza infinita: "Io non sono degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali". Giovanni predica un Battesimo di penitenza. L'abluzione rituale (cioè l'immergere nell'acqua) era una cerimonia diffusa in molte altre religioni e anche nella religione ebraica del-l'epoca, ma Giovanni trasforma questo atto spesso esteriore in una scelta religiosa: per ricevere il Battesimo è necessaria la conversione del cuore per il perdono dei peccati. Marco, poi, ha elaborato in senso cristiano la predicazione del Battista: afferma, infatti, che il dono battesimale portato da Cristo sarà lo Spirito Santo: opera già qui la teologia cristiana del battesimo. Giovanni si presenta come la voce di colui che chiama nel deserto: chiama il popolo d'Israele a riscoprire i propri inizi, a ridiventare quel piccolo gruppo che tra mille pericoli, ma con il risolutore intervento di Dio, era riuscito a sfuggire al faraone d'Egitto e che nel deserto aveva dovuto imparare chi era, e che cosa voleva veramente Dio. Giovanni ricordava quella fase della storia di Israele, quando il popolo nel deserto, avendo ricevuto come indicazione i soli Comandamenti, aveva seguito senza una meta precisa il suo Dio. Ma appena Israele era giunto nella terra della promessa e dell'abbondanza concessa da Iahwé, ben presto aveva dimenticato la lezione del deserto. Aveva dimenticato che Dio non è presente staticamente in un qualche luogo, ma vuol essere oggetto di una continua ricerca e di una costante imitazione. Israele non voleva più cercare con fatica le tracce di Dio, gli costruisce, invece, un tempio a Gerusalemme. Israele aveva dimenticato che Dio non aveva chiesto tanti sacrifici e atti di culto, bensì la legge semplice e chiara dei dieci Comandamenti. Dio aveva comandato che Israele fosse un popolo di fratelli che si amano l'un l'altro, un popolo nel quale anche il più debole poteva vivere nella sicurezza. Ma Israele aveva dimenticato tutto ciò, e offriva costosi sacrifici, celebrava grandi feste. Giovanni, però, non aveva dimenticato, richiamava il popolo agli inizi, a riscoprire le proprie origini, parlava di "conversione". La sua predicazione non era solo diretta agli abitanti di Gerusalemme dell'anno 27, ma vale anche per noi. Anche noi abbiamo chiuso Dio nella Chiesa, lo serviamo con i sacrifici e il culto e poi lo dimentichiamo quando cominciano i reali problemi della vita quotidiana. Salvaguardiamo solo i nostri interessi, cerchiamo stabilità e sicurezza nelle cose che passano, escogitiamo i compromessi più astuti e più comodi, ma non ci accorgiamo che, così facendo, diventiamo sempre più opachi, miopi e schiavi. Dio vuole che gli uomini vivano l'uno con l'altro, e non l'uno contro l'altro. Solo l'amore per i fratelli, per il prossimo, spezza le chiusure del nostro egoismo che ci soffoca. Solo partendo da questa realtà potremo riacquistare la libertà per nuovi "inizi", solo amando i fratelli potremo cercare Dio e onorarlo veramente. Gesù prendeva a cuore la situazione e i diritti degli altri, ma soprattutto di coloro che i "devoti" declassano e discriminano: i pubblicani e i peccatori.