4 gennaio 2010

06 GENNAIO
SANTE TEOFANIE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO

“Diamo il nome di Epifania a questo giorno”, dice S. Giovanni Crisostomo, “perché la grazia salutare del Signore si è manifestata a tutti gli uomini. Ora, perché è non il giorno della nascita, ma quello in cui ha ricevuto il battesimo che chiamiamo Epifania? Perché la sua manifestazione a tutti gli uomini non data dalla sua nascita, ma dal suo battesimo, dal momento che fino ad allora molti non lo avevano conosciuto”.
La Chiesa Bizantina, per designare questa solennità, usa i termini “Epifania” e “Teofania”, che indicano la manifestazione della divinità, ma predilige tuttavia la denomi-nazione datale da S. Gregorio Nazianzeno: “Festa delle Luci”.
Questa definizione è al tempo stesso trinitaria e cristologica. Vediamo brevemente in che modo.
Cristo è venuto per essere la luce del mondo che illumina quelli che erano nelle tenebre.
Dice, infatti, Proclo di Costantinopoli: “Il Cristo apparve al mondo, lo illumina e lo riempie di gioia, santifica le acque e spande la luce nelle anime degli uomini. Il sole di giustizia apparve e dissipò le tenebre dell’ignoranza. Il Figlio unico del Padre si è manifestato a noi e ci dà, mediante il battesimo, la qualità di figli di Dio”. Questa frase compendia il mistero dei Padri Greci sulla miseria del peccatore che consiste essenzialmente nell’ignoranza della fede: il Cristo apre per sempre “le porte della Luce a coloro che, figli delle tenebre e della notte, aspirano a divenire figli del giorno e della luce”.
La nostra professione di fede, il Credo, contiene la formula “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero” proprio perché nel Giordano si è manifestata la Luce, la SS.ma Trinità, "mentre Gesù scendeva nell’acqua, il fuoco si accese nel Giordano”, e quando fu battezzato, una grande luce emerse dall’acqua e s’irradiò intorno, così che tutti i presenti furono colti da timore”.
La combinazione luce e fuoco,cole elementi rivelatori della presenza divina, si trova in diverse circostanze nell’Antico Testamento: sta scritto, infatti: “Il Signore andava innanzi a loro (…) in colonna di fuoco per far loro luce affinché potessero camminare (…) di notte”. Illuminava le tenebre e li conduceva al Mar Rosso, il cui passaggio è prefigurazione del Battesimo: il battesimo è passaggio, è illuminazione, è nascita dell’essere alla luce divina.
Questo è il motivo per cui i neo-battezzati nella Chiesa Bizantina sono chiamati “illuminati”, perché hanno acquisito la Luce che li guida, sono rinati alla vita.
“In Lui era la vita”, dice S. Giovanni Evangelista, “e la vita era la luce degli uomini”.
“La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ep-pure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.
Pertanto l’Ufficiatura è interamente consacrata al Battesimo e la cerimonia della Benedizione delle Acque, che ha luogo in tal occasione, richiama la santificazione di questo elemento basilare del creato operata dal Salvatore: quest’acqua serve per poi benedire le case, i poderi, il bestiame, tutto.
Viene poi dato un vigoroso rilievo alla funzione rivelatrice del Verbo incarnato e si comprende la predilezione dei Bizantini per il titolo di “Festa delle Luci” non come una pura preferenza terminologica, ma come un’espressione più aderente ai motivi teologici della loro spiritualità e mentalità.

PRIMA ANTIFONA

En exòdho Israìl ex Eghìptu, ìku Iakòv, ek laù varvàru.

SECONDA ANTIFONA

Igàpisa, òti isakùsete Kìrios tis fonìs tis dheiseòs mu.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en Iordhàni ipò Ioànnu vaptisthìs, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Exomologhìsthe to Kirìo, oti agathòs, òti is ton eòna to èleos aftù.

En Iordhàni vaptizomènu su Kìrie, i tis Triàdhos efaneròthi proskìnisis; tu gar Ghennìtoros i fonì prosemartìri si, agapitòn se Iiòn onomàzusa; ke to Pnèvma en ìdhi peristeràs evevèu tu lògu to asfalès. O epifanìs, Christè o Theòs, ke ton kòsmon fotìsas, dhòxa si.

ISODHIKON

Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu; Theòs Kìrios, ke epèfanen imìn.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en Iordhàni ipò Ioànnu vaptisthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TROPARI

En Iordhàni …

Epefànis sìmeron ti ikumèni, ke to fos su, Kìrie, esimiòthi ef’imàs en epignòsi im-nùndas se: Ìlthes, efànis, to fos to apròsiton.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allilùia.

EPISTOLA (Tito 2,11-14.3,4-7)

Diletto figlio Tito, è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con so-brietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone. Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.

VANGELO (Mt. 3,13-17)

In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora, poiché convie-ne che così adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, ton en Iordhàni elthònda vaptisthìne. O ton ipèr nun tu tòku su thavmàton Nìnfi pànaghne, Mìter evloghimèni. Dhi ‘is tichòndes pandelùs sotirìas, epàxion krotùmen os everghèti dhòron fèrondes ìmnon evcharistìas.

KINONIKON

Epefàni i chàris tu Theù, i sotìrios pàsin anthròpis. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

En Iordhàni…

OPISTHAMVONOS

Àfatos i pros imàs su agathòtis, Kìrie o Theòs imòn; òti ton monoghenì su Iiòn evdokìsas ek ghinekòs afthòru enanthropìse, ke katà pànda òmion imìn ghenèsthe chorìs amartìas, ke vaptisthìne os ànthropos dhi’imàs ipò Ioànnu tu Prodhròmu, ton mi chrìzonda kathàrseos, all’ìna, tin ton idhàton fìsin aghiàsas, tin ex ìdhatos ke Pnèvmatos anaghènnisin imìn charìsite, ìna epighnòndes se ton ànarchon Patèra, proskinòmen ton uranòthen aftòn Iiòn agapitòn su anakirìxanda vaptizòmenon, ke to panaghiòn su Pnèvma dhoxàzomen to katavàn ep’aftòn ke faneròsan aftòn to vaptìzondi, en o ke imàs sfraghìsas ke chrìsas dhià tu vaptìsmatos metòchus epìisas tu Christù su; ùper mi isterìsis imàs tus amartolùs, allà dhì’aftù kratèoson ke enìschison imàs katà pàsis poniràs dhinàmeos; ke tus pistùs àrchondas katà pàsis tirannìdos enìschison, ke pàndas imàs is tin vasilìan su odhìghison, ìna ke en imìn dhoxasthì to panàghion onomà su ke tu monoghenùs su Iiù àma to Aghìo su Pnèvmati, nin, ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O en Iordhàni vaptisthìne ipò Ioànnu katadhexàmenos, dhià tin imòn sotirìan…

Commento al Vangelo:
Il battesimo nel Giordano da parte di Giovanni è un evento significativo nella vita di Gesù. È il primo atto pubblico che egli compie da quando avverte la voce dello Spirito che lo chiama ad annunziare la buona novella ai poveri, a predicare a quanti attendevano l’anno di grazia del Signore. Forse è anche la prima volta che si allontana dal suo villaggio, dalla Galilea e arriva fino alle foci del Giordano. Lo scopo era far visita o conoscenza con un predicatore di penitenza che faceva tanto parlare di sé in tutta la regione. Matteo lo dice espressamente: “compare da Giovanni” (3,5). Marco “venne da Giovanni”. Tutto fa pensare che Gesù aveva fatto tanta strada per ascoltare il profeta del deserto. Gesù aveva ascoltato la parola dei profeti nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16). Era diverso però riascoltarla direttamente da un profeta vivente. Si dovrebbe pensare che anche Gesù è in ricerca della volontà di Dio o almeno di un ap-profondimento, di una chiarificazione della sua chiamata profetica. Infatti poco dopo l’evangelista ricorda il suo ritiro nel deserto, i quaranta giorni di digiuno e preghiera, il confronto-scontro con il diavolo, sempre per determinare la linea da percorrere nell’adempimento del suo mandato nel piano di Dio. Si può perciò ipotizzare che an-che questa visita al predicatore del deserto, e forse agli altri asceti che sembra popolassero la zona, sia stata motivata dal desiderio o necessità di trovare una conferma alla “spinta” che sentiva nel suo animo a lasciare il lavoro di carpentiere e dedicarsi all’annunzio della parola di Dio. Il soggiorno nel Giordano non fu un’esperienza inutile. Gesù non sceglierà né la strada di Giovanni, un predicatore chiuso nel suo recinto, tutto proteso a intimorire o a spaventare la gente, né quella dei vicini Esseni, pure essi ben separati dal popolo; ma si metterà in cammino per le contrade della Galilea, insegnando, predicando e guarendo gli infermi che ricorrevano a lui. Sono i quattro verbi con cui Matteo caratterizza la sua attività missionaria (4,23). Gesù non starà ad aspettare la gente ma si muoverà incontro ad essa non per terrorizzarla, ma per liberarla dalle proprie afflizioni e soprattutto dalla paura di Dio, che non era tanto un giudice quanto un “padre” (Mt 6,9). L’esperienza di Gesù nel Giordano, il confronto con Giovanni, ha creato qualche difficoltà ai predicatori cristiani delle origini, in particolare alla comunità di Matteo che si è sentita in dovere di correre ai ripari inserendo nel racconto tradizionale di Mc 1,9 un dialogo tra Gesù e Giovanni (3, 14-15) che ridimensiona la portata del battesimo di Gesù. La notizia “per essere battezzato” poteva far sembrare che Gesù si fosse trovato subordinato a Giovanni, come se fosse al di sotto di lui, e ciò non era ammissibile. Era vero il contrario. Era Giovanni che avreb-be dovuto inginocchiarsi davanti all’“ospite” venuto dalla Galilea e ricevere la remissione dei peccati. L’evangelista, quindi, sente il bisogno di spiegare ai suoi lettori che questo non significa che Gesù fosse un peccatore o, comunque, inferiore a Giovanni. Ma ciò è avvenuto perché “si adempisse ogni giustizia”. In Matteo la parola giustizia indica il piano divino della salvezza, e il verbo compiere contiene un riferimento alle Scritture. Possiamo dire allora che Gesù si sottopose al battesimo perché ciò rientrava nel piano di Dio manifestato nelle Scritture. Ma la diversità tra Gesù e Giovanni emerge dalla concezione diversa di messianismo. Il Messia che viene a farsi battezzare sconcerta Giovanni, che si aspettava un Messia giudice e un battesimo di fuoco. Invece si vede venire incontro un uomo confuso nella folla, non giudice, ma un servo solidale col momento penitenziale del suo popolo. Tutto ciò è confermato anche dalla voce celeste: “Questo è il mio Figlio diletto”, che richiama il passo di Is 42,1. L’uso di questa formula del profeta identifica Gesù con il Servo del Signore. La visione definisce il carattere della messianicità di Gesù; egli non è il Messia regale, conquistatore, ma il Servo sofferente. Così Giovanni e Gesù rappresentano due concezioni messianiche diverse.

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