30 gennaio 2010

31 GENNAIO 2010
Domenica del Figliol Prodigo – Ss. Ciro e Giovanni, taumaturghi e anàrgiri – Giornata dei malati di lebbra


TROPARI

Della Domenica:
Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir i-pàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O Mìtran Parthenikìn aghiàsas to tòko su, ke chìras tu Simeòn evloghìsas, os èprepe, profthàsas ke nin èsosas imàs, Christè o Theòs. All’irìnevson en polèmis to polìtevma, ke kratèoson tus pistùs us igàpisas, o mònos filànthropos.

EPISTOLA (1Cor. 6,12-20)

Fratelli, “Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla. “I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!”. Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite la prostituzione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impudicizia, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio della Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

VANGELO (Lc. 15,11-32)

Disse il Signore questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliele dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

OPISTHAMVONOS

Sovrano Signore Dio nostro, Padre della gloria, che per la nostra salvezza hai mandato in questo mondo il tuo unigenito Figlio e per suo mezzo ci hai adottati per figli, concedendoci la grazia d’invocarti Padre, anche ora abbi pietà di noi peccatori per aver trasgredito i tuoi comandamenti. Non ci perdere ora che ci troviamo lontani da te, né ci privare delle tue grazie spirituali; ma concedici di accostarci a te con la bocca e col cuore, di mostrarci con le buone opere figli degni dell’adozione concessaci, e di imitare il ritorno del figliol prodigo, nel quale ci hai manifestato l’ineffabile tua bontà, affinché raggiungiamo quei beni eterni che tu hai preparato a coloro che amano la tua volontà. Sii invincibile compagno del pio nostro Sovrano assoggettandogli nemici e avversari. Per la grazia e la bontà dell’Unigenito tuo Figlio col quale sei benedetto insieme con il santissimo, buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Commento al Vangelo:
Da qualunque angolatura si guarda la parabola del figliol prodigo, ci si accorge che al centro c’è sempre la figura del padre, che dà unità all’intera narrazione. Il punto su cui la parabola concentra l’attenzione è come Dio si pone di fronte ai due figli – il peccatore e il giusto – e come i due figli si pongono davanti a Lui. In ambedue i casi, c’è un netto contrasto; qui sta la novità della teologia di Gesù. È in gioco il vecchio e il nuovo, il vino e gli otri, non c’è spazio per alcun rattoppo. L’attenzione, dunque, indugia sulla figura del padre. Egli non cessa di amare il figlio che si è allontanato e continua ad attenderlo. A lui non interessa che il figlio gli abbia dissipato il patrimonio. Ciò che lo addolora è che il figlio sia lontano, a disagio. Quando il figlio ritorna, il padre gli corre incontro e gioisce del suo ritorno; quel figlio deve subito capire che nulla è cambiato nei suoi confronti: è un figlio, come sempre e quella casa è la sua casa. È questo il vero volto di Dio, il volto di un padre e basta, che Gesù ha inteso rivelare con la sua incondizionata accoglienza dei peccatori. Il figlio minore esce di casa non perché ha bisogno di lavoro (il padre è ricco, ha campi e braccianti), ma perché vuole organizzarsi una vita indipendente. Lo stare in casa gli pesa come una schiavitù. Un vero padre è amore, ma è sempre anche legge. E questo può a volte insinuare nei figli che egli sia un padrone, anziché un padre. Il peccato del figlio non è la vita libertina condotta lontano da casa. Questa è la conseguenza di un peccato precedente e più profondo, il peccato di pensare alla casa come a una prigione, la presenza del padre come ingombrante e mortificante e l’allontanamento dal padre come libertà. Questo è il vero peccato, la radice di tutte le infedeltà. Ma è proprio con la partenza da casa che inizia la degradazione: una vita disordinata, poi la fame, poi il servizio presso un padrone pagano, poi l’umiliazione di pascolare i porci. Questo disagio del figlio peccatore non è un castigo inflitto dal padre (o da Dio), ma è una situazione in cui il figlio stesso si è posto. Un disagio che serve per risvegliare la sua coscienza e difatti il cammino di ritorno inizia con un mutamento interiore. Questo figlio non conosce ancora suo padre: è convinto di aver perso l’amore del padre e che debba di nuovo meritarselo lavorando come un servo. E invece il padre non ha mai smesso di amarlo, e quando il figlio gli chiede perdono, non lo lascia neppure parlare: il suo amore è prima del pentimento del figlio. Il padre è completamente diverso da come il figlio immaginava. La veste più bella, l’anello al dito, i calzari sono tutti segni dell’essere figlio. Il padre glieli offre prontamente, ma non per dirgli: sei di nuovo mio figlio, ma per dirgli: lo sei sempre stato. Il figlio maggiore, anziché godere della gioia del padre, ne prova irritazione. La gioiosa accoglienza riservata al fratello minore gli dà l’amara sensazione che la sua fedeltà di rimanere in casa sia del tutto sprecata. Se il peccatore è trattato in quel modo, a che serve essere giusti? Questo figlio giusto e osservante non conosce suo padre e ragiona come se la fedeltà fosse un peso e la compagnia del padre una fatica. Assomiglia agli scribi e farisei che mormoravano perché Gesù accoglieva i peccatori. Lo stesso amore che ha spinto il padre a correre incontro al figlio minore, lo spinge ora a uscire e a pregare il figlio maggiore di lasciar perdere le proprie rimostranze e di far festa insieme. Il padre vorrebbe riunire i due figli, unendoli a sé e tra di loro. Vorrebbe che scoprissero la sua paternità e la loro fraternità. Così è Dio. Il figlio maggiore si è lasciato convincere? È entrato in casa a far festa? Non lo sappiamo. La conversione del giusto è, a volte, più difficile di quella del peccatore.

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