27 febbraio 2010

28 FEBBRAIO 2010
II Domenica di Quaresima – S. Basilio il confessore, compagno di ascesi di Procopio il decapolita
TROPARI

Della Domenica: Anghelikè Dhinàmis epì to mnìma su, ke i filàssondes apenekròtisan; ke ìstato Marìa en to tàfo zitùsa to àchrandòn su sòma. Eskìlefsas ton Adhin mi pirasthìs ip’aftù, ipìndisas ti Parthèno, dhorùmenos tin zoìn. O anastàs ek ton nekròn, Kìrie, dhòxa si.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa, ton dhinòn evcharistìria, anagràfo si i pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon eleftèroson, ìna kràzo si: Chère, Nimfi anìmfevte.

EPISTOLA
(Eb. 1,10-14.2,1-3)

Tu, Signore, da principio hai fondato la terra e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito. Come un mantello li avvolgerai, come un abito e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e gli anni tuoi non avranno fine. A quale degli angeli poi ha mai detto: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza? Proprio per questo bisogna che ci applichiamo con maggiore impegno a quelle cose che abbiamo udito, per non andare fuori strada. Se, infatti, la parola trasmessa per mezzo degli angeli si è dimostrata salda, e ogni trasgressione e disobbedienza ha ricevuto giusta punizione, come potremo scampare noi se trascuriamo una salvezza così grande? Questa infatti, dopo essere stata promulgata all’inizio dal Signore, è stata confermata in mezzo a noi da quelli che l’avevano udita.

VANGELO (Mc. 2,1-12)

In quel tempo Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”.

MEGALINARIO

Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghèlon to sìstima ke anthròpon to ghènos, ighiasmène naè ke paràdhise loghikè, parthenikòn kàvchima, ex is Theòs esarkòthi ke pedhìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Thèos imòn. Tin gar sin mìtran thrònon epìise ke tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis. Dhoxa si.

MEGALINARIO DI SAN BASILIO IL GRANDE

Tòn uranonfàndora tu Christù, mìstin tu Dhèspotu tòn fostìra tòn fainòn tòn ek Kesarìas ke Kappadhòkon chòras, Vasìlion ton mègan, pàndes imnìsomen.

OPISTHAMVONOS

Benedetto sei Signore eccelso e gloriosissimo! Tu, o Buono, per la tua divina economia ci hai fatto arrivare a questo periodo dell’anno, all’inizio di questi santi giorni di raccoglimento: pertanto concedi a noi tuoi servi di ricavare dalle opere di giustificazione frutti soavi di virtù e costanza per la purificazione e per il rinnovamento delle anime e dei cuori, affinché durante il digiuno quaresimale possiamo combattere la multiforme azione del nemico. Tu sei infatti quel Dio che con il digiuno e l’ascesi hai tramutato gli uomini in Angeli; tu che hai dato a Mosè digiunante le leggi divine impresse nelle tavole: tu dunque, o Signore, guidaci al limite salutare della passione preziosa del tuo Cristo, affinché dal legno della sua Croce e trionfando del peccato siamo fatti degni della beata risurrezione, per le preghiere e le suppliche della tuttasanta immacolata Madre di Dio e semprevergine Maria e di tutti i tuoi Santi.

Commento al Vangelo:
"Vedendo la loro fede": la fede è il pre-requisito necessario per un miracolo ed è una richiesta essenziale nella predicazione di Gesù; non poteva, prima della risurrezione, aver significato un atto di fede in Cristo visto come una persona divina. Gli evangelisti, scrivendo in quanto credenti cristiani, tendono a colorare di significati una fede specificatamente cristiana.
"Egli bestemmia": una prefigurazione della condanna.
"Affinché voi sappiate": questo versetto è un commento redazionale cristiano al miracolo di Gesù, il "voi" non può essere riferito agli scribi. La parola qui è rivolta ai lettori cristiani ai quali viene raccontato il miracolo.
"Io ti dico alzati": la guarigione avvalora la sua asserzione di poter perdonare i peccati e simboleggia la salute spirituale del peccatore che ha ottenuto il perdono.
"Restarono stupiti": la gente, stupita, non riesce a vedere il miracolo come una testimonianza del potere di Gesù di perdonare i peccati.

20 febbraio 2010

21 FEBBRAIO 2010
I Domenica di Quaresima detta dell’Ortodossia
S. Timoteo dei Simboli – S. Eustazio, patriarca della grande Antiochia

In questo giorno si fa memoria del ripristino della dignità delle sante Icone e dell'onore che ad esse deve essere dato, ossia di Venerazione. La vittoria dell'ortodossia sull'eresia iconoclasta, che negava il culto a Dio per mezzo delle immagini sacre e la possibilità dell'esistenza stessa delle immagini, avvenne nel VII Concilio Ecumenico, detto Concilio di Nicea II. In questo Concilio i Santi Padri condannarono l'iconoclastia e confermarono le condanne delle dottrine eretiche affrontate nei precedenti Concili Ecumenici, segnando la fine delle controversie teologiche e cristologiche. L'11 marzo 843 avvenne la solenne liturgia per la restaurazione del culto dell'Icona all'interno della Chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli e da allora si celebra tale festa nella prima domenica di Quaresima. "Definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione... L'onore reso all'immagine passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l'immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto".

PRIMA ANTIFONA

O Kìrios evasìlevsen, evprèpian enedhìsato, enedhìsato o Kìrios dhìnamin ke periezòsato.

SECONDA ANTIFONA

Exomologhisàsthosan to Kirìo ta elèi aftù, ke ta thavmàsia aftù tis iìs ton anthròpon.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Enesàtosan aftòn i uranì ke i ghi, thàlassa ke pànda ta èrponda en aftì.

Tin àchrandon ikòna su proskinùmen, Agathè, etùmeni sinchòrisin ton ptesmàton imòn, Christè o Theòs, vulìsi gar ivdhòkisas sarkì anelthìn en to stavrò, ìna rìsi us èplasas ek tis dhulìas tu ecthrù, òthen evcharìstos voòmen si: charàs eplìrosas ta pànda, o Sotìr imòn, paraghenòmenos is to sòse ton kòsmon.

TROPARI

Della Domenica: Ton sinànarchon Lògon Patrì ke Pnèvmati, ton ek Parthènu te-chthènda is sotirìan imon, animnìsomen pistì ke proskinìsomen; òti ivdhòkise sarkì, anelthìn en to stavrò, ke thànaton ipomìne, ke eghìre tus tethneòtas, en ti endhòxo Anastàsi aftù.

Della festa: Tin àchrandon ikòna su…

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa, ton dhinòn evcharistìria, anagràfo si i pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon eleftèroson, ìna kràzo si: Chère, Nimfi anìmfevte.

EPISTOLA (Eb. 11,24-26.32-40)

Fratelli, per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato. Questo perché stimava l’obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto; guardava infatti alla ricompensa. E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti, i quali per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – di loro il mondo non era degno! –, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra. Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.

VANGELO (Gv. 1,43-51)

In quel tempo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: “Seguimi”. Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret”. Natanaèle esclamò: “Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?”. Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”. Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Natanaèle gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”. Gli replicò Natanaèle: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”. Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.

MEGALINARIO

Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghèlon to sìstima ke anthròpon to ghènos, ighiasmène naè ke paràdhise loghikè, parthenikòn kàvchima, ex is Theòs esarkòthi ke pedhìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Thèos imòn. Tin gar sin mìtran thrònon epìise ke tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis. Dhoxa si.

MEGALINARIO DI SAN BASILIO IL GRANDE

Tòn uranonfàndora tu Christù, mìstin tu Dhèspotu tòn fostìra tòn fainòn tòn ek Kesarìas ke Kappadhòkon chòras, Vasìlion ton mègan, pàndes imnìsomen.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Tin àchrandon ikòna su…

OPISTHAMVONOS

O Sovrano Dio nostro, supplichiamo la tua bontà: ascolta i tuoi servi indegni e concedici di arrivare alla fine desiderata di questi giorni di digiuno che tu ci hai concessi per correggerci nell’uso dei beni presenti e guidarci al conseguimento dei premi futuri a cui aneliamo. Spogliaci delle opere delle tenebre e ornaci di quelle della luce: donaci la grazia della penitenza sincera e della preghiera umile a te accettevole. Il nostro Sovrano ancor lui in digiuno e in preghiera risplenda per le vittorie. Per la misericordia dell’Unigenito tuo Figlio col quale sei benedetto insieme con il santissimo, buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Commento al Vangelo:
Quali che siano le circostanze (Andrea intermediario per Pietro, Filippo per Natanaele; chiamata diretta per Filippo), è sempre Gesù che conserva l’iniziativa con la profondità del suo sguardo e la sua parola incisiva che chiama i discepoli. L’evangelista non ci dice nulla dell’accoglienza di Simon Pietro, ma s’interessa soprattutto all’annuncio di Gesù riguardo al nome nuovo che un giorno riceverà “Cefa”, cioè Pietro. Giovanni risponde così a un duplice scopo: in primo luogo sottolineare l’autorità di Gesù che si comporta qui come il rivelatore; e poi porre Pietro fin dall’inizio in posizione di preminenza, lui sarà il portavoce dei Dodici e il pastore del gregge. Filippo è, dopo Andrea e Simon Pietro, il terzo discepolo che viene chiamato con il suo nome: tutti e tre vengono da Betsaida, città di pescatori situata in riva al lago di Tiberiade. La sua chiamata riprende una formula frequente nei sinottici: “Seguimi!”. Ma è soprattutto l’incontro con Natanaele che interessa il narratore. Il suo scetticismo, dopo aver conosciuto l’origine di Gesù, è spiegabile: il messia non poteva venire da una città insignificante come Nazaret. Questo contrasto tra il messia glorioso atteso e l’origine umile di Gesù è lo scandalo dell’incarnazione. La fede deve vincere l’ostacolo della carne e riconoscere nell’uomo Gesù l’inviato di Dio. Come ha fatto per Pietro, Gesù manifesta un sapere inaspettato anche per Natanaele: “Ti ho visto sotto il fico”. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dà spesso prova di una conoscenza superiore degli avvenimenti e delle persone, e di essere padrone di ogni situazione che gli si presenta. Alla fine del brano troviamo il titolo “Figlio dell’uomo” che a differenza dei sinottici che fanno riferimento a Dan 7,13 Giovanni si ispira alla scala di Giacobbe (Gn 28,10-17). Come in quell’episodio della Genesi, il riferimento agli angeli significava l’incontro e la comunicazione di Dio con gli uomini, così qui Gesù, in quanto Figlio dell’uomo, è diventato il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo, tra il cielo e la terra.

13 febbraio 2010

14 FEBBRAIO 2010
Domenica dei Latticini – S. Aussenzio

TROPARI

Della Domenica: To fedhròn tis anastàseos kìrighma ek tu anghèlu mathùse e tu Kirìu mathìtrie, ke tin progonikìn apòfasin aporrìpsase tis Apostòlis kafchòmene èlegon: Eskìlefte o thànatos, ignèrthi Christòs o Thèos, dhorùmenos to kòsmo to mèga èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa ton dhinòn evcharistìria anagràfo si i Pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon elefthèroson, ìna kràzo si: Chère, Nìmfi anìmfevte.

EPISTOLA (Rom. 13,11-14,4)

Fratelli, la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri. Accogliete tra voi chi è debole nella fede, senza discuterne le esitazioni. Uno crede di poter mangiare di tutto, l’altro invece, che è debole, mangia solo legumi. Colui che mangia non disprezzi chi non mangia; chi non mangia, non giudichi male chi mangia, perché Dio lo ha accolto. Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare.

VANGELO (Mt. 6,14-21)

Disse il Signore: “Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe. E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il vostro tesoro, sarà anche il vostro cuore”.

OPISTHAMVONOS

Ti ringraziamo, o Cristo Dio nostro, che ci hai fatto giungere al presente digiuno per la nostra salvezza, avendo tu affidata a un così modesto rimedio la cura delle più grandi ferite delle anime nostre, acquistandoci il perdono dei molti peccati. Te ne supplichiamo, o benignissimo: allontana dai nostri digiuni la superbia dei Farisei e la tristezza affettata dei Giudei, recidendo da noi ogni compiacenza che ci si potrebbe ridestare dalla penitenza. Ma soprattutto tienici lontani da qualsiasi opera, parola, o pensiero proibito, e riempici invece della luce e della verità dello Spirito Santo secondo i tuoi disegni. Fortificaci nella lotta che dobbiamo sostenere contro le passioni: corroboraci nell’agone contro il peccato, alenandoci con l’astinenza dai cibi e con l’allontanamento dalla colpa, a seguire Te che col digiuno ci hai dimostrato come si vince il diavolo e come si deve aver parte nella tua morte e risurrezione per poi godere della gloria eterna che tu hai preparata a coloro che hanno fame e sete della giustizia. Poiché tu sei buono e amico degli uomini, e noi rendiamo gloria a Te, Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

6 febbraio 2010

07 FEBBRAIO 2010
Domenica di Carnevale – S. Partenio, vescovo di Lampsaco – S. Luca di Stirio nell’Ellade – Giornata per la vita

TROPARI

Della Domenica: Effrenèstho ta urània, agalìastho ta epìghia, òte epiìse kràtos en vrachìoni aftù o Kìrios; epàtise to thanàto ton thànaton, protòtokos ton nekròn eghèneto; ek kilìas Adhu errìsato imàs ke parèsche to kòsmo to mèga èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa ton dhinòn evcharistìria anagràfo si i Pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon elefthèroson, ìna kràzo si: Chère, Nìmfi anìmfevte.

EPISTOLA (1Cor. 8,8-9,2)

Fratelli, non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio. Badate però che questa vostra libertà, non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la scienza, stare a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest’uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli? Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello. Non sono forse libero, io? Non sono un apostolo? Non ho veduto Gesù, Signore nostro? E non siete voi la mia opera nel Signore? Anche se per altri non sono apostolo, per voi almeno lo sono; voi siete il sigillo del mio apostolato nel Signore.

VANGELO (Mt. 25,31-46)

Disse il Signore: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli della sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.

OPISTHAMVONOS

Accogli le nostre umili suppliche, Signore Dio nostro, come un giorno accogliesti le lacrime e l’unguento della meretrice, e commuoviti benigno alle nostre lodi, come ti commovesti ai suoi baci. Anche a noi fa’ grazia di una santa conversione con la remissione dei peccati, e come non disdegnasti che essa toccasse i tuoi piedi immacolati, così non allontanare noi che teniamo dietro alle invisibili attrattive della tua misericordia. Essa che silenziosamente confessava a te i suoi peccati, che conosci i cuori, tu non la lasciasti confusa; neanche noi farai arrossire col pubblicare le nostre colpe nascoste, nel terribile tuo tribunale davanti agli Angeli e ai Santi, ma libe-raci dall’eterna vergogna e mettici a parte dell’incorruttibile tua gloria. Perché tu sei benigno e glorioso col Padre e con lo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli.

Commento al Vangelo:
Matteo conclude il discorso escatologico e l’intera serie dei discorsi di Gesù con la grandiosa scena del giudizio: l’appartenenza al regno non esige l’esplicita conoscenza di Cristo, ma soltanto la concreta accoglienza del fratello bisognoso. Lo stesso cristiano non gode di alcuna garanzia: anch’egli sarà giudicato unicamente in base alla carità. Ma che significato dare a quei “piccoli miei fratelli?” coi quali Gesù sembra identificarsi? Chi sono? I poveri semplicemente, i discepoli di Gesù o i missionari poveri e perseguitati? Prima di rispondere a queste domande, vogliamo chiarire tre affermazioni che ci sembrano sicure.
Prima: il giudice è chiamato “figlio dell’uomo” e “re”, e questo “re” è Gesù di Nazaret, colui che fu perseguitato, rifiutato e crocifisso, e che nella sua vita condivise in tutto la debolezza della condizione umana: la fame, la nudità, la solitudine. Ed è un re che si identifica con i più umili, i più piccoli: anche nella funzione di giudice universale rimane fedele a quella logica di solidarietà che lo guidò in tutta la sua esistenza terrena. È dunque un re che vive sotto spoglie sconosciute, sotto le spoglie dei suoi “piccoli fratelli”.
Seconda: sbaglieremmo se vedessimo in questa pagina una logica diversa da quella della Croce, diciamo un contrasto fra il Cristo crocifisso e il giudice escatologico, come se alla logica dell’amore (Croce) venisse alla fine sostituita la logica della potenza (giudizio). Nulla di tutto questo: il giudizio svela la vera identità dell’uomo: è solo l’amore verso i fratelli che dona all’uomo consistenza e salvezza.
Terza: Matteo altrove ci ha detto che gli uomini al giudizio dovranno rendere conto di tutti gli atti della loro vita, perfino di ogni parola. Qui però Gesù ricorda solo l’accoglienza agli esclusi. Un’accoglienza fattiva: tutto il giudizio è costruito attorno alla contrapposizione tra il “fare” e il “non fare”. È la solita tesi cara a Matteo: l’essenziale della vita concreta non è di dire e nemmeno di confessare Cristo a parole, ma praticare l’amore concreto per i poveri, i forestieri e gli oppressi. Questa è la volontà di Dio e questa è la vigilanza.
Ritorniamo ora alla domanda iniziale: chi sono i “piccoli” che Gesù chiama “miei fratelli” e nei quali si rende presente al punto da ritenere fatto a se stesso quanto fatto a loro? Il termine “piccolo” è usato altrove per indicare i cristiani deboli, spesso trascurati dalle élites della comunità. Secondo un altro testo (10,42) i “piccoli” sono i predicatori del vangelo, poveri e bisognosi di accoglienza. Il termine “fratello” invece ha un senso più generale e indica i discepoli. La conclusione è questa: i piccoli fratelli di Gesù sono i membri della comunità, trascurati, deboli, insignificanti, disprezzati. E in particolare sono i predicatori del vangelo, poveri e perseguitati. Pertanto l’avvertimento racchiuso in questa scena di giudizio è duplice: uno rivolto a tutti gli uomini e l’altro alla Chiesa. A tutti: la sorte di ogni uomo dipende dall’accoglienza mostrata ai missionari del vangelo, cioè, ai discepoli di Cristo. E alla Chiesa: nessuna comunità è al riparo dal giudizio, anche la comunità verrà giudicata in base all’accoglienza che essa concretamente avrà mostrata verso i poveri, i trascurati e i piccoli. L’amore rimane, dunque, il grande discriminante che definisce i veri discepoli di Cristo ed è anche l’impegno fondamentale per il tempo della storia, in attesa della venuta piena e definitiva del Signore.

SETTIMANA DEI LATTICINI

8 – L – S. Teodoro Stratilata megalomartire – S. Zaccaria profeta
3Gv. 1,1-15 Lc. 19,29-41.22,7-39

9 – M – S. Niceforo martire
Giuda 1,1-10 Lc. 22,39-43.45-71.23,1

10 – M – S. Caralampo il taumaturgo, ieromartire
2Tim. 2,1-10 Gv. 15,17-16,2

11 – G – S. Biagio ieromartire
Giuda 1,11-25 Lc. 23,1-31.33a.44-56

12 – V – S. Melezio, arcivescovo della grande Antiochia
Aliturgico

13 – S – Commemorazione dei Ss. Asceti
Rom. 14,19-23.16,25-27 Mt. 6,1-13

1 febbraio 2010

02 FEBBRAIO
YPAPANTÍ DEL SIGNORE, DIO E SALVATORE NOSTRO GESÚ CRISTO

"Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania è qui (Gerusalemme) celebrato veramente con grande solennità”, scrive Egeria nel suo Diario del pellegrinaggio fatto ai Luoghi santi sul finire del IV sec., “In quel giorno, infatti, si fa una processione all’Anastasis (Chiesa della Resurrezione) e tutti vi partecipano; ogni cosa si compie con grande festa, come a Pasqua. Predicano tutti i sacerdoti e pure il vescovo, commentando sempre quel passo del Vangelo nel quale si dice che Giuseppe e Maria, il quarantesimo giorno, portarono il Signore al Tempio e che Simeone e la profetessa Anna, figlia di Fanuele, lo videro, e si ricordano le parole che essi dissero alla vista del Signore e l’offerta che i genitori fecero. “Dopo aver compiuto secondo il rito tutte le cerimonie usuali, si celebrano i Misteri (la divina Liturgia) e avviene il commiato”. Questa è la prima notizia della festa della Presentazione al Tempio di nostro Signore. La solennità veniva celebrata il 14 febbraio e non vi è menzione del rito dei ceri. Secondo Cirillo di Scitopoli (+ 560 circa) fu la matrona romana Ikelia, vissuta al tempo dell’imperatore Marciano (450-457) a suggerire di celebrare la festa della Presentazione con dei lumi portati in processione. È noto, comunque, da numerose fonti che per la celebrazione di questa festa venisse fatto uso di luci e di fiaccole; un esempio ci viene offerto da Cirillo di Alessandria (+ 444), che, rivolgendosi ai suoi fedeli nel giorno della Presentazione, cosi li esortava: “Festaggiamo in modo splendente con lampade brillanti il mistero di tale giorno”. Ed in una coeva omelia anonima gerosolimitana leggiamo: “Siamo splendenti e le nostre lampade siano brillanti. Quali figli della luce offriamo i ceri alla vera luce che è Cristo”. Nel VI sec., la festa veniva celebrata nelle chiese della Palestina e di Costantinopoli, dove era stata introdotta da poco, come ci dice Severo, patriarca di Antiochia (512-518). Quindi potremmo dire, in lionea di massima, che tra la fine del V e gli inizi del VI sec. le varie chiese del territorio orientale dell’impero avevano fatto propria tale festività. Sull’introduzione della festa a Bisanzio, tuttavia, gli storici non sembrano essere del tutto concordi. Leggiamo, infatti, nella Cronaca di Teofane che nell’ottobre del 534 era sopravvenuta a Costantinopoli una terribile pestilenza e che in seguito alla sua cessazione Giustiniano avesse ordinato che la solennità della Presentazione venisse celebrata nella capitale ed in tutto l’impero il 2 febbraio. Niceforo, invece, nella sua Storia Ecclesiastica sostiene che ad introdurre tale festa nella Capitale fosse stato Giustino, zio e predecessore di Giustiniano, nel 527. Queste notizie storiche, per quanto discordanti tra loro, non sono tuttavia in contraddizione; forse è da attribuire a Giustiniano solo lo spostamento della data della celebrazione dal 14 al 2 febbraio per ricordare la cessazione dell’epidemia. Sapopiano inoltre che la festa della Presentazione fu introdotta a Roma da papa Sergio (687-701). Alcuni studiosi pensano che la festa sia stata adottata nella vecchia capitale per soppiantare qualche ricorrenza pagana quale, per esempio, quella dei Lupercali o quella della ricerca di Proserpina da parte della madre Cerere. Questo argomento è stato oggetto di una lunga disputa in cui i pareri sono stati alquanto discordi, anche se è sembrato prevalesse l’opinione di quelli che non vedevano alcun legame, o tentativo di sovrapposizione, all’una o all’altra delle solennità pagane. A nostro avviso, non è da trascurare il fatto che papa Sergio (687-701) fosse un Siro proveniente dalla Sicilia bizantina. La Chiesa bizantina fin dall’adozione di questa festa l’ha indicata con un nome significativo: Hypapantì, cioè Incontro. In altri termini, si è voluto porre l’accento sull’incontro di Gesù con il giusto Simeone, piuttosto che sottolineare il motivo della Purificazione della Vergine o soltanto quello della Presentazione e dell’offerta del Bambino al Tempio del Signore. Questi altri temi, naturalmente, sono anch’essi presenti nell’innografia e nell’omiletica, ma hanno, tuttavia, un rilievo minore rispetto all’episodio dell’incontro con il vegliardo. Bisogna dire che non si è di fronte ad una scelta casuale, ma voluta. Infatti, sebbene la festa fosse celebrata a Bisanzio, come si è detto, sin dal VI sec. e poi dal 602 nella chiesa della Vergine alle Blacherne, non sembra, tuttavia, abbia mai assunto aspetto o significato di ricorrenza mariana come è avvenuto in Occidente (la Candelora). Il fatto che i Bizantini abbiano posto in rilievo l’Incontro tra Cristo e Simeone e che abbiano ascritto tale festa tra quelle despotiche, cioè del Signiore, è dato dalla volontà di sottolineare l’incontro dell’uomo vecchio col nuovo, prefigurazione della discesa agli Inferi.
(Tratto da Gaetano Passarelli, L'Icona della Presentazione del Signore, La Casa di Matriona, Milano 1992)

PRIMA ANTIFONA

Exirèvxato i kardhìa mu lògon agathòn; lègo egò ta èrga mu to vasilì.

SECONDA ANTIFONA

Perìzose tin romfèan su epì ton miròn su, Dhinatè, ti oreotitì su ke to kàlli su.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en ankàles tu dhikèu Simeòn vastachthìs, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Akuson, thìgater, ke ìdhe, ke klìnon to us su, ke epilàthu tu laù su, ke tu ìku tu patròs su.

Chère kecharitomèni, Theotòke Parthène; ek su gar anètilen o Ìlios tis dhikeosìnis Christòs o Theòs imòn, fotìzon tus en skòti. Effrènu ke si Presvìta dhìkee, dhexàmenos en ankàles ton eleftherotìn ton psichòn imòn, charizòmenon imìn ke tin Anàstasin.

ISODHIKON

Eghnòrise Kìrios to sotìrion aftù enandìon pàndon ton ethnòn, apekàlipsen tin dhikeosìnin aftù.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en ankàles tu dhikèu Simeòn vastachthìs, psàllondàs si: Allilùia.

TROPARI

Chère kecharitomèni…

O Mìtran Parthenikìn aghiàsas to tòko su, ke chìras tu Simeòn evloghìsas, os èprepe, profthàsas ke nin èsosas imàs, Christè o Theòs. All’irìnevson en polèmis to polìtevma, ke kratèoson tus pistùs us igàpisas, o mònos filànthropos.

EPISTOLA (Eb. 7,7-17)

Fratelli, senza dubbio, è l’inferiore che è benedetto dal superiore. Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece le riscuote uno di cui si attesta che vive. Anzi si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato la sua decima in Abramo: egli si trovava infatti ancora nei lombi del suo antenato quando gli venne incontro Melchìsedek. Or dunque, se fosse stata possibile la perfezione per mezzo del sacerdozio levitico – sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge – che bisogno c’era che sorgesse un altro sacerdote alla maniera di Melchìsedek, e non invece alla maniera di Aronne? Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge. Questo si dice di chi è appartenuto a un’altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all’altare. È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, a somiglianza di Melchìsedek, sorge un altro sacerdote, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile. Gli è resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchìsedek.

VANGELO (Lc. 2,22-40)

In quel tempo, i genitori portarono Gesù a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è stato scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”. C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.

MEGALINARIO

Theotòke, i elpìs pàndon ton christianòn, skèpe, frùri, fìlatte tus elpìzondas is se. En nòmo skìa ke gràmmati tìpon katìdhomen i pistì; pan àrsen to tin mìtran dhianìgon àghion Theò. Dhiò protòtokon Lògon, Patròs anàrchu Iiòn, protokùmenon Mitrì apiràndhro megalìnomen.

KINONIKON

Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

OPISTHAMVONOS

Dhèspota, Kìrie o Theòs, o ton monoghenì su Iiòn ke Lògon exapostìlas is ton kòsmon, ghenòmenon ek ghinekòs, ghenòmenon ipò nòmon exagoràsi; ke dhià tu Pnevmatòs su tin aftù parusìan to presvìti Simeòn proevanghelisàmenos, ke tùton aftò parònda kataminìsas, aftòs ke imàs tus anaxìus dhùlus su evlòghison ti si epilàmpsi, ke pròsdhexe imòn tas dheìsis, òsper tin tis profìtidos Ànnis exomològhisin; ke kataxìoson imàs noerès ankàles periptìssesthe ton sesarkomènon su Lògon, ke naùs ighiasmènus chrimatìzin tu panaghìu su Pnèvmatos; ke tus pistùs àrchondas èffranon ti dhinàmi su, tin katà ton echthròn aftòn charizòmenos nìkin; ìna ke en imìn dhoxasthì to megaloprepès onomà su, ke tu monoghenùs su Iiù ke tu proskinitù ke zoopiù su Pnèvmatos, nìn, ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O en ankàles tu dhikèu Simeòn vastachthìne katadhexàmenos, dhià tin imòn sotirìan…

Commento al Vangelo:

La presentazione di Gesù al tempio, in osservanza a Es. 13, 1-16, è un momento culminante nel racconto dell'infanzia; in tutto il resto del vangelo Gerusalemme occuperà un posto centrale. Luca non dice nulla del riscatto o "redenzione" di Gesù, egli era proprietà del suo Padre celeste anche prima di questa cerimonia; questo atto esternò ciò che era e sarebbe rimasto sempre vero. Invece di un agnello di un anno, Maria e Giuseppe fanno "l'offerta dei poveri" (una coppia di tortore o di giovani colombi), un volatile era per l'olocausto di adorazione, l'altro era per un sacrificio per il "peccato". Simeone è un uomo estraneo al servizio nel tempio che giunge "mosso dallo Spirito", anche lui aspetta che si compia la profezia delle "settanta settimane", cioè l'ora ultima quando Dio verrà a salvare, una volta per tutte, il suo popolo: una speranza proclamata dal "libro della consolazione". Simeone gode di una grazia unica: egli sa che questo momento è imminente, vedrà il momento in cui, con la venuta del Messia, la storia sarà definitivamente ribaltata. Lui, l'ultima sentinella dell'antica alleanza che attendeva l'alba dei tempi messianici "prese tra le braccia" il primogenito del mondo nuovo che egli ha riconosciuto. Prorompe poi in un cantico e in una profezia. Diversamente da Maria e da Zaccaria che, nel loro inno, parlavano di Dio alla terza persona, Simeone si rivolge direttamente a lui. Davanti al Signore che ha mantenuto la sua promessa egli riconosce che il suo compito di sentinella è giunto al termine: come Abramo, egli può andarsene in pace presso i suoi padri ed essere sepolto (Gen 15,15); il patriarca aveva non solo ricevuto la promessa ma l'aveva anche visto realizzarsi. Inoltre, lo Spirito profetico gli concede una nuova luce sulla missione del bambino, un messaggio che Gabriele non aveva rivelato a Maria: Gesù sarà il Servo che Dio ha destinato ad essere luce delle nazioni, affinché la sua salvezza raggiunga l'estremità della terra (Is. 49,6). I pagani non saranno soltanto i testimoni, ma i beneficiari della salvezza definitiva, allo stesso titolo di Israele. Si tratta di una straordinaria anticipazione, poiché questo sarà il programma annunciato dal Risorto e realizzato da Paolo che adempirà, nel nome del suo Signore, questa profezia di Isaia. Ma al cantico di gioia segue una profezia minacciosa: il figlio di Maria diventerà motivo di divisione in Israele. Parole profetiche che Gesù farà proprie: "Pensate che io sia venuto per portare la pace tra gli uomini? No, vi dico, ma la divisione…". Il rifiuto di Gesù e della sua parola da parte di Israele, qui preconizzato, percorrerà come un filo rosso tutta l'opera di Luca fino alla tremenda conclusione degli Atti: ai giudei di Roma, divisi, Paolo dichiarerà che la salvezza di Dio sarà inviata ai pagani, poiché essi ascolteranno. In definitiva l'uomo dovrà pronunciarsi a favore o contro l'inviato di Dio: ciò permetterà di svelare inevitabilmente i pensieri segreti di molti uomini, cioè l'indurimento del loro cuore. Una simile profezia attua una convinzione della Bibbia: gli stessi doni di Dio sono fonte di vita o di morte secondo le disposizioni di coloro che li ricevono. Simeone rivela in poche parole che una tale divisione del popolo ferirà Maria nel più profondo del suo essere. In ciò non dobbiamo scorgere un annuncio dei dolori di Maria ai piedi della croce, episodio assente in Luca. Ma come Madre del Messia ella soffrirà più degli altri israeliti per il modo in cui questo messianismo si realizzerà. Il racconto potrebbe terminare qui. La vecchia profetessa Anna che arriva non annuncia alcuna nuova rivelazione, ma si esprime in linguaggio indiretto. Ma è a questa donna, modello della vedova giudea o cristiana, che tocca fare eco al cantico di Simeone, permettendo così a Luca di chiudere questa scena di rivelazione con una nota gioiosa. La conclusione ricorda ancora una volta la fedeltà dei genitori alla legge. Poi c'è il ritorno in Galilea. Al contrario di Giovanni che viveva nel deserto, Gesù abita a Nazaret.