25 marzo 2010

25 MARZO 2010
ANNUNCIAZIONE DELLA SANTISSIMA MADRE DI DIO E SEMPRE VERGINE MARIA



“Oggi è giunta la gioia di tutti, che scioglie la primitiva condanna. Oggi è giunto Colui che è dovunque, per riempire di gioia tutte le cose”, con queste parole Andrea di Creta (660-740) inizia l’omelia per la festa dell’Annunciazione.
Questa solennità, canto proemiale di una gioia indicibile, affonda le sue radici nei primi secoli. Allo sviluppo della festa concorsero due linee convergenti: una derivata da omileti di tendenza antiariana, che volevano dimostrare in Cristo la sussistenza non solo dell’umanità ma anche della divinità; l’altra sicuramente influenzata dalla letteratura in lingua aramaica, che aveva sviluppato il concetto di Maria seconda Eva.
Tali testimonianze, tuttavia, parlano del mistero nelle controversie dogmatiche del loro tempo, mentre dei chiari riferimenti ad una solennità liturgica dell’Annunciazione si hanno solo all’epoca dell’imperatore Giustiniano (VI sec.).
La festività fu introdotta nella chiesa romana da papa Sergio I (687-701), un italo-siro proveniente probabilmente dalla Sicilia. Per tale occasione era prevista una solenne processione a S. Maria Maggiore, basilica i cui mosaici erano legati alla divina maternità (theotokos) di Maria stabilita dal Concilio di Efeso (431).
Sin dall’inizio la festa fu celebrata il 25 marzo, equinozio di primavera, tempo in cui, secondo le concezioni antiche, fu creato il mondo ed il primo uomo. Ben presto, però, data la popolarità e la solennità assunta dalla festa, sorse un conflitto di natura liturgica: secondo l’antica regola di austerità quaresimale era esclusa qualsiasi solennità fino a Pasqua.
Per la chiesa bizantina se ne occupò il Concilio di Costantinopoli, detto in Trullo, del 692 che nel canone 52° stabilì che la festa dell’Annunciazione venisse celebrata con tutta solennità in qualsiasi tempo cadesse.
Così nelle chiese di tradizione bizantina si sviluppò un particolare sistema di rubriche liturgiche atte a combinare la festa dell’Annunciazione con i più complessi uffici quaresimali e della settimana santa. Infatti, anche il venerdì santo diventa giorno liturgico in cui si celebra la Divina Eucarestia se dovesse cadere il 25 marzo.
In Spagna, invece, il concilio di Toledo del 656 stabiliva che la ricorrenza dell’Annunciazione fosse fissata il 18 dicembre. Tale decisione, adottata in quasi tutto l’Occidente, fu recepita dalla chiesa romana solo nel sec. XVII.
Il tema teologico ed iconografico bizantino ha allora avuto uno sviluppo particolare.
I testi di questa festa hanno beneficiato di una lunga tradizione biblica e patristica che include il contributo della letteratura apocrifa, in modo particolare del Protovangelo di Giacomo e dello Pseudovangelo di Matteo.
L’iconografia sembra aver sintetizzato l’apporto di questa molteplicità di tradizioni che pur hanno una radice comune nel Vangelo di Luca (1,26-38), nel quale è contenuta l’essenza del credo dei primi cristiani sull’incarnazione: Gesù è stato concepito per opera dello Spirito santo ed è nato da una Vergine. Su tale verità di fondo si è sviluppata quella necessità dell’uomo e del credente di mescolare soavità di sentimenti e dramma personale.
Le chiese di tradizione bizantina hanno dotato questa solennità liturgica di una pre-festa (il 24 marzo), di una splendida ufficiatura e numerosi inni tra i quali il canone in nove odi di Teofane Graptos, uno strenuo difensore delle icone al tempo della controversia sulla venerazione delle icone.
Ciò che maggiormente colpisce di questa festa è il senso della gioia, talvolta contenuta, ma sempre profonda, che traspare dagli inni, dalle preghiere, dalle icone, dalle omelie, dove prevale il metodo del dialogo a battute drammatiche.

(Tratto da Gaetano Passarelli, L'Icona dell'Annunciazione, La Casa di Matriona Milano 1988)

PRIMA ANTIFONA

O Theòs, to krìma su to vasilì dhos, ke tin dhikeosìnin su to iiò tu vasilèos.

SECONDA ANTIFONA

Katavìsete os ietòs epì pòkon, ke osì stagòn i stàzusa epì tin ghin.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu sarkothìs, psaàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Èste to ònoma aftù evloghimènon is tus eònas, pro tu ilìu dhiamèni to ònoma aftù.

Sìmeron tis sotirìas imòn to kefàleon, ke tu ap’eònos Mistirìu i fanèrosis; o Iiòs tu Theù Iiòs tis Parthènu ghìnete, ke Ghavriìl tin chàrin evanghelìzete. Dhiò sin aftò ti Theotòko voìsomen: Chère, kecharitomèni, o Kìrios metà su.

ISODHIKON

Evanghelìzete imèran ex imèras to sotìrion tu Theù imòn.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu sarkothìs, psallondàs si: Allilùia.

TROPARI

Sìmeron tis sotirìas…

Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa ton dhinòn evcharistìria anagràfo si i Pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon elefthèroson, ìna kràzo si: Chère, Nìmfi anìmfevte.

EPISTOLA (Eb. 2,11-18)

Fratelli, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi; e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccoci, io e i figli che Dio mi ha dato. Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

VANGELO (Lc. 1,24-38)

In quei giorni, Elisabetta, moglie di Zaccaria, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: “Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini”. Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.

MEGALINARIO

Evanghelìzu, ghi, charàn megàlin, enìte, uranì, Theù tin dhòxan. Os empsìcho Theù kivotò Psavèto midhamòs chir amiìton; Chìli dhe pistòn ti Theotòko asighìtos Fonìn tu Anghèlu anamèlponda, en agalliàsi voàto: Chère, Kecharitomèni, o Kìrios metà su.

KINONIKON

Exelèxato Kìrios tin Siòn, iretìsato aftìn is katikìan eaftò. Allilùia.

OPISTHAMVONOS

Kìrie o Theòs o pandokràtor, o evdokìsas ton monoghenì su Iiòn sarkothìne ex apirogàmu ghinekòs, ke enanthropìse dhià tin imòn sotirìan, apèstilas dhe ton son archànghelon Gavriìl tin aftù àsporon sìllipsin evanghelizòmenon ti aghìa Parthèno Marìa, in proòrisas pro ton eònon ergastìrion ghenèsthe tiùtu foverù mistirìu, prognosthèndos si ke aftò to sinaidhìo su Lògo, aftòs, tes presvìes aftìs ke pàndon ton Aghìon su, evanghèlison tes psichès imòn dhià tis sis chàritos tin ton amartimàton àfesin ke charàn anafèreton; làlison irìnin epì ton laòn su; gnòrison imìn odhòn, en i porefthèndes evarestìsomen ti si epuranìo vasilìa; dhià ton iktirmòn tu Christù su, meth’u evloghitòs i, sin to panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

Commento al Vangelo:
La scena non si svolge nello scenario prestigioso del tempio, ma più modestamente "in una città della Galilea", in una casa privata. Che la rivelazione sia fatta alla futura madre e non più al padre costituisce una differenza poco rilevante: i modelli dell’Antico Testamento possono infatti mettere in scena una donna. Molto più significativa è la verginità di Maria. Per dono di Dio, Elisabetta ha concepito un figlio da suo marito; Maria è soltanto sposa promessa, non ha ancora potuto condurre vita comune con Giuseppe. Se la nascita di Giovanni è straordinaria, quella di Gesù lo è ancora di più.
La verginità di Maria spiega anche un'importante differenza nello schema dell'annuncio. La giovane donna muove un'obiezione al messaggio celeste ponendo una domanda analoga a quella del sacerdote Zaccaria: "Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo? (v. 34). Ora, questa volta, l'angelo non la riterrà assolutamente una mancanza di fede; egli risponde alla domanda senza farvi obiezione e dà a Maria un segno che, al contrario di quello ricevuto da Zaccaria, non costituisce un castigo: la sua parente è incinta.
Il fatto è che Maria si trova di fronte a una situazione radicalmente nuova nella Bibbia la quale non parla di concepimento senza unione, mentre il marito di Elisabetta conosceva perfettamente la storia di Abramo, identica alla sua.
Le due annunciazioni parallele divergono, quindi, su questo punto, e al silenzio forzato del sacerdote si oppone la docile accettazione della "serva del Signore" che si sottomette alla "parola"; in questo modo, la "parola" è adempiuta. Maria si definirà di nuovo col nome di "serva": una parola che Luca adopera altrove per designare i membri della Chiesa.
Nel gioco delle uguaglianze e delle differenze il racconto dell’annuncio a Maria assume toni e colori che altrimenti non avremmo notato.
Il primo quadro è sostanzialmente celebrativo. Zaccaria ed Elisabetta sono descritti come “giusti davanti a Dio” e osservanti rigorosi di tutte le leggi del Signore. Nulla di celebrativo, invece, nel secondo quadro. Nessun cenno alle virtù di Maria, né alla sua preghiera, né alla sua attesa. Tutto è dalla parte di Dio, pura grazia.
Nel primo quadro è l’osservanza della legge che viene premiata, nel secondo è la grazia che viene proclamata. La legge e la grazia: due parole che già dicono la differenza fra l’antico e il nuovo. Lo scenario del primo quadro è grandioso e solenne: nel tempio, durante una liturgia, un sacerdote nell’esercizio della sua funzione, sullo sfondo il popolo in attesa. Il secondo quadro è privo di ogni scenario, come già si è avuto modo di notare.
Il confronto mostra, dunque, un continuo alternarsi di grandezza e piccolezza, solennità e semplicità, che già lascia intravedere i tratti nuovi e inconfondibili del volto di Dio che si è manifestato in Gesù di Nazaret. Da una parte il divino si mostra con tratti di grandiosità e solennità, dall’altra si mostra nella più assoluta semplicità, e proprio per questo svela un volto inatteso e sorprendente. Da una parte l’osservanza della legge, dall’altra la grazia. Da una parte l’uomo che entra nella casa di Dio, dall’altra Dio che entra nella casa dell’uomo.
"Sesto mese": dal concepimento, cioè, del Battista.
"Nazaret": una città insignificante, mai menzionata nell’Antico Testamento disprezzata dagli stessi palestinesi del tempo di Gesù e abitata da gente gelosa e materialista.
"Vergine": Luca pone due volte l'accento sulla verginità di Maria.
"Maria": "Mirjam" significa "esaltata". Giuseppe, fidanzato di Maria, sembra essere stato di origine giudaica, forse un abitante di Betlemme. Attraverso Giuseppe, pertanto, in quanto suo padre legale, e non attraverso Maria, Gesù eredita una rivendicazione al trono di Davide.
"Ti saluto": questo saluto assume il significato di un invito alla gioia: “gioisci”. Nei passi citati è invitata a gioire la figlia di Sion. Prima di chiamare a una missione, Dio invita alla gioia. La “lieta notizia” precede sempre ogni missione. Il contenuto della lieta notizia è detto subito dopo: la certezza della presenza del Signore (“il Signore è con te”) e il suo amore gratuito e fedele.
"Piena di grazia": (kecharitomene) il verbo dice fondamentalmente l’amore gratuito. La forma passiva suggerisce che il soggetto è Dio, il tempo perfetto che si tratta di un’azione stabile. Si può perciò tradurre con “amata gratuitamente e stabilmente”.
"Il Signore è con te": affidando una missione, Dio assicura sempre la sua presenza, che tuttavia non sottrae alle difficoltà né alle debolezze. Alcuni manoscritti greci secondari (il Codice Alessandrino, un manoscritto di Sant' Efrem, ecc…) aggiungono: "Tu sei benedetta fra le donne".
"Concepirai un figlio e lo chiamerai Gesù": Maria comprese che l'angelo le stava annunziando che suo figlio sarebbe stato divino, la seconda persona della santissima Trinità? Andrebbe ricordato quanto segue: innanzitutto Luca non sta scrivendo il diario del giorno dell'annunciazione, ma un vangelo di salvezza. In secondo luogo, Maria in quanto "donna del popolo" non era certo abituata a pensare nei termini filosofici più tardivi di persona e natura (Gesù è una persona, ma ha due nature: divina e umana) e sarà stata invece impressionata dalla potenza e dall'infinità bontà divina nelle parole e nelle opere di Gesù. Il racconto dell'infanzia, composto in un periodo post-pentecostale suggerisce abbastanza chiaramente la divinità di Gesù. Il testo lucano si ispira a Zaccaria e Gioele nel descrivere l'era messianica e la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. L'Antico Testamento non afferma la presenza di Dio in una persona umano-divina, ciò che invece fa Luca applicando molto accuratamente i testi a Gesù.
"Non conosco uomo": il fidanzamento di Maria con Giuseppe indica che essa pensava a una vita matrimoniale normale. Gli studiosi, circa quest'obiezione di Maria, danno varie soluzioni:
1) Maria, pensando che l'angelo parlasse di una concezione immediata, obiettò che i rapporti matrimoniali non erano permessi fino al termine dell'anno del fidanzamento.
2) Un'opinione comunemente sostenuta da esegeti cattolici ritiene che Maria aveva fatto un voto di verginità perpetua già prima del suo fidanzamento con Giuseppe; Giuseppe avrebbe accettato il matrimonio a questa insolita condizione.
3) Altri pensano che Maria decise di fare il voto di perpetua verginità al momento dell'annunciazione o a motivo del segno richiesto in Is. 7,14 oppure a causa dell'impellente necessità del mistero della divina maternità.
"Ti coprirà della sua ombra": l'ombra dello Spirito che copre Maria richiama la nube che riempì il tempio di Gerusalemme. La discesa dello Spirito Santo di Dio e la proclamazione del Figlio di Dio danno al versetto un tono apocalittico. Sia il tema del tempio che lo spirito escatologico esigono la verginità o la continenza, virtù richiesta dalla Bibbia nei fedeli e nei guerrieri. La verginità di Maria è in tal modo un richiamo alla lotta apocalittica della croce e all'ambiente liturgico della Chiesa primitiva.
"Nulla è impossibile a Dio": la verginità di Maria rivela una nuova dimensione e nuovo e profondo significato: quello della fiducia e dell'obbedienza totale a Dio, così come Osea raffigura Israele nel suo ruolo di vergine sposa di Dio.
“Eccomi!”: dice la prontezza dell’obbedienza. Secondo la Bibbia è questo “eccomi” che dice l’identità dell’uomo davanti a Dio. Il nome di Dio è: “Io sono colui che è qui con te”. Il nome dell’uomo è “Eccomi”.
“La serva del Signore”: è questo il terzo nome di Maria che compare nel racconto. Il narratore l’ha chiamata “Maria”, l’angelo “amata gratuitamente per sempre”, Maria chiama se stessa “serva”. Il primo è il nome dell’anagrafe: serve a distinguere Maria dalle altre donne. Il secondo è invece il nome davanti a Dio che svela la profonda identità (amata). Il terzo (serva) è il nome che dice la missione di Maria, il suo modo di stare davanti a Dio e agli uomini.

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