30 aprile 2010

02 MAGGIO 2010
Domenica della Samaritana -
Traslazione delle reliquie del nostro santo padre Atanasio il grande, patriarca di Alessandria - Giornata di sensibilizzazione per il sostegno economico alla Chiesa cattolica
Il Sacerdote, dopo aver detto: “Evloghimèni i vasilìa…”, intercalato dal popolo, canta tre volte:

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kìrio, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

O Theòs iktirìse imàs ke evloghìse imàs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Anastìto o Theòs ke dhiaskorpisthìtosan i echthrì aftù ke fighètosan apò prosòpu aftù i misùndes aftòn.

Christòs anèsti…

ISODHIKON

En ekklisìes evloghìte ton Theòn, Kìrion ek pigòn Israìl.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si. Alliluia.

TROPARI

Della Domenica: To fedhròn tis anastàseos kìrighma ek tu anghèlu mathùse e tu Kirìu mathìtrie, ke tin progonikìn apòfasin aporrìpsase tis Apostòlis kafchòmene èlegon: Eskìlefte o thànatos, ignèrthi Christòs o Thèos, dhorùmenos to kòsmo to mèga èleos.

Della mezza Pentecoste: Mesùsis tis eortìs, dhipsòsan mu tin psichìn evsevìas pòtison nàmata; o dhipsòn erchèstho pros me ke pinèto. I pighì tis zoìs, Christè o Theòs, dhòxa si.

Del Santo: Stìlos ghègonas orthodhoxìas, thìis dhògmasin ipostirìzon tin ekklisìan Ieràrcha Athanàsie, to gar Patrì ton Iiòn omoùsion anakirìxas, katìschinas Arìon. Pàter òsie, Christòn ton Theòn ikèteve dhorìsasthe imìn to mèga èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I ke en tàfo katìlthes, Athànate, allà tu Adhu kathìles tin dhìnamin ke anèstis os nikitìs, Christè o Theòs, ghinexì mirofòris fthenxàmenos. Chèrete, ke tis sis Apostòlis irìnin dhorùmenos, o tis pesùsi parèchon anàstasin.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA (Eb. 13,7-16)

Fratelli, ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono. Noi abbiamo un altare del quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che sono al servizio del Tabernacolo. Infatti i corpi degli animali, il cui sangue vien portato nel santuario del sommo sacerdote per i peccati, vengono bruciati fuori dell’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il suo sangue, patì fuori della porta della città. Usciamo dunque anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura. Per mezzo di lui dunque offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome. Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace.

VANGELO (Gv. 4,5-42)

In quel tempo Gesù giunse ad una città della Samarìa chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso l'ora sesta. Arrivò intanto una donna di Samarìa ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Le disse: “Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. Gesù le dice: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”. In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: “Che desideri?”, o: “Perché parli con lei?”. La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”. Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. Ma egli rispose: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?”. Gesù disse loro: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”. Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.

MEGALINARIO

O Ànghelos evòa ti kecharitomèni: Aghnì Parthène, chère, ke pàlin erò, chère; o sos Iiòs anèsti triìmeros ek tàfu ke tus nekrùs eghìras, laì agalliàsthe. Fotìzu, fotìzu, i nèa Ierusalìm; i gar dhòxa Kirìu epì se anètile, Chòreve nin ke agàllu, Siòn: Si dhe, aghnì, tèrpu, Theotòke, en ti Eghèrsi tu tòku su.

KINONIKON

Sòma Christù metalàvete, pighìs athanàtu ghèfsasthe. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs anèsti ek nekròn …

SALUTO PASQUALE

Sac.: Christòs anèsti

Pop.: Alithòs anèsti

Sac.: Krishti u ngjall

Pop.: Vërteta u ngjall

Sac.: Cristo è risorto

Pop.: È veramente risorto

Zi ke vasilèvi is pàntas tus eònas. Amìn.

Sac.: Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas …

Pop.: Ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

Commento al Vangelo:
La crescente ostilità del giudaismo ufficiale serve a Giovanni da introduzione a questo racconto e aiuta a porre maggiormente in risalto, a modo di contrasto, l’accoglienza favorevole che Gesù riceve dai samaritani. L’evangelista si sofferma a lungo su quest’episodio samaritano, forse perché i samaritani dovevano formare un gruppo importante della sua comunità. Nel raccontare quest’episodio, mentre l’insuccesso della predicazione di Gesù presso i giudei è evidente, Giovanni si compiace di dilungarsi su questa prima piena riuscita della rivelazione di Gesù. Giovanni è il solo che riferisce questa storia. Matteo racconta di evitare i villaggi samaritani. Anche Luca parla dei samaritani, ma non ha nulla in comune con Giovanni. Quale credibilità storica dobbiamo attribuire a questo racconto? Senza dubbio l’evangelista conosce bene le usanze e le credenze dei samaritani, ma la storia serve da pretesto a un insegnamento talmente elaborato che bisogna rinunziare a vedere in essa una cronaca ritratta dal vero.
Quest’episodio si divide in tre parti: Gesù e la Samaritana, Gesù e i discepoli, Gesù e i samaritani.
Con molta abilità il narratore introduce la maggior parte degli elementi essenziali al racconto. La frase: “Egli doveva passare per la Samaria” sottolinea una necessità misteriosa: Gesù ha scelto la via più breve, un viaggio di tre giorni, per passare dalla Giudea alla Galilea, attraverso il territorio dei samaritani, i quali mostravano di frequente la loro ostilità contro i pellegrini giudei e galilei. L’altro passaggio, invece più faticoso a causa del caldo, attraverso la valle del Giordano, era raccomandato ai giudei desiderosi di conservare la loro purezza culturale, senza passare per la Samaria impura. Di Gesù, il pellegrino, l’introduzione precisa che era affaticato, sottolineando così una nota di umanità. Nei pressi di un pozzo che la tradizione attribuiva al patriarca Giacobbe, nel terreno lasciato a suo figlio Giuseppe, Gesù incontra all’ora sesta, cioè a mezzogiorno, una donna di Samaria. Non solo era inaudito che un rabbino si fermasse a parlare familiarmente in pubblico con una donna, ma era altrettanto inconcepibile che un giudeo chiedesse dell’acqua ad un samaritano. I giudei consideravano come ritualmente impuri i samaritani e, di conseguenza, gli utensili che adoperavano per mangiare e bere. Gesù non ha scrupoli di questo genere, i vangeli hanno sottolineato di frequente il suo atteggiamento libero di fronte agli aspetti rituali dei giudei. Il dialogo con la donna inizia con una richiesta di Gesù: “Dammi da bere”. Il rifiuto della donna di darle da bere va visto in una visione di intolleranza, cioè di rigido rifiuto verso l’altro popolo: “I Giudei non hanno rapporti con i Samaritani”. La risposta di Gesù (“Se tu conoscessi il dono di Dio …”) è carica di insegnamenti. L’interesse si sposta dal pozzo materiale verso quest’uomo, questo giudeo affaticato, assetato, che nella sua privazione si presenta come colui che può dare. E il dono proposto non ha più alcun rapporto con l’acqua del pozzo: è un’acqua viva. Egli introduce nel dialogo una dimensione misteriosa: dal pozzo materiale al quale chiedeva acqua, sposta l’interesse su se stesso, dono di Dio, capace di dare un’acqua viva. Come Nicodemo anche la donna interpreta le parole di Gesù alla lettera: “Non hai neppure un secchio… da dove prendi dunque l’acqua viva?”. Persino Giacobbe dovette rassegnarsi a fare uso del pozzo. A questo punto Gesù comincia a spiegare il suo pensiero: il libro del Siracide afferma che colui che si abbevera alla sapienza avrà di nuovo sete, cioè, il suo desiderio della sapienza diventerà sempre più insaziabile. Tale desiderio, quindi, non può mai essere soddisfatto. Al contrario, l’acqua che Cristo darà soddisferà per sempre la sete; chiunque beva di questa acqua avrà dentro se stesso la sorgente della vita eterna. La donna non ha ancora capito nulla e chiede, forse ironicamente, che le venga data quest’acqua meravigliosa in grado di dissetarla una volta per sempre e di risparmiarle tutti quei viaggi al pozzo. La risposta di Gesù la convince che egli possiede una conoscenza sovrumana (“Va’ a chiamare tuo marito…”); essa viene portata gradualmente a rendersi conto che le parole di Gesù dovevano avere un significato ben più profondo. A questo punto la donna riconosce Gesù come un profeta. Prima essa aveva visto in lui un giudeo. Il filo comune che attraversa le tappe di questa donna per riconoscere Gesù, è l’interiorizzazione. Alla sorgente esteriore si è sostituita quella interiore, all’osservanza esteriore della legge si è sostituita quella interiore; al culto esterno, quello interno. Questo culto spirituale deriva dalla natura stessa di Dio (Dio è spirito). Gesù dice che: “I veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità”. Questo culto in Spirito e verità è quello che ogni credente abitato dallo Spirito rende al Padre. Esso è interiore non perché localizzato nella parte più intima di ciascuno di noi, ma perché è opera dello Spirito (che è verità), il quale suscita in noi l’adorazione al Padre. Tale ispirazione proviene dalla presenza e dalla permanenza dello Spirito in noi. All’epoca storica della samaritana, lo Spirito doveva ancora venire; al tempo dell’evangelista, è già venuto. Tale nascita di un culto spirituale interiorizzato si fonda sulla rivelazione del mistero di Dio: “Dio è Spirito”. Quest’affermazione prende le distanze da tutte le rappresentazioni, le immagini, i santuari. Dio è al di là del linguaggio stesso dell’uomo: è all’opposto di ciò che è “carnale”. In una simile rivelazione, il rapporto con i luoghi, con la stessa terra, si relativizza. Ormai Dio non è più legato alla terra, per quanta santa essa sia, ma abita nel cuore di ogni uomo, nel quale lo Spirito ha posto la sua dimora. La donna arriva così al termine della sue esperienza spirituale. Ha seguito Gesù quando le ha annunciato il dono dello Spirito, quando le ha rivelato la sua verità interiore, quando ha chiarito il suo rapporto con la religione. Fino a questo momento, Gesù era il rivelatore di un tempo nuovo. Resta da fare l’ultimo passo in questa immersione all’interno del mondo della rivelazione. Sappiamo ben poco della fede messianica che i samaritani (per i quali soltanto il Pentateuco era Scrittura ispirata) avevano in comune con i giudei; essi designavano il Messia con l’appellativo di Ta’eb, “colui che ritorna” o “colui che restaura”. Gesù accetta questa identificazione della sua persona e si rivela come non farà mai altrove nel vangelo di Giovanni: “Sono io che ti parlo”. L’espressione “Io sono” riprende il titolo stesso del Signore al Sinai. La donna allora può andare via abbandonando la sua giara: non ne avrà più bisogno. Quella che non riusciva a saziare la sua sete di vivere e di esistere, ha incontrato un uomo che ha messo in lei una sorgente di vita che le dà un’autonomia e un senso.
Ora i discepoli ritornano dalla loro commissione e si meravigliano non tanto che Gesù parli con una samaritana quanto che si intrattenga con una donna. Però, conoscendo bene il loro maestro, non ardiscono fare alcun commento negativo mentre egli è presente. Nell’andarsene, la donna lasciò la sua brocca dell’acqua perché Gesù potesse berne. È possibile che Giovanni veda qui un significato simbolico: ora che la donna è arrivata alla sorgente dell’acqua viva, non sente più il bisogno dell’altra. Nel frattempo anche i discepoli danno prova di essere lenti ad affermare il vero significato delle profonde parole di Gesù che essi interpretano soltanto nel loro senso materiale e superficiale. Gesù, si spiega meglio citando un proverbio palestinese: tra la semina e il raccolto corre un periodo di quattro mesi. Il raccolto, però, di cui parla Gesù (il raccolto sul campo seminato da Dio) è già pronto ora. La prova di ciò è nella donna che in questo preciso momento sta affrettandosi verso il villaggio per rendere testimonianza ai suoi compaesani i quali torneranno subito a vedere essi stessi. In questo racconto non esiste alcun intervallo tra la semina e la messe, ma il mietitore (Dio stesso) si identifica con il seminatore (Gesù) ed entrambi si rallegrano in pari tempo. Si è avverato qui il vecchio proverbio ma non nel senso che gli veniva attribuito (“C’è chi semina e c’è chi raccoglie”), dato che in questo raccolto Dio è sia il seminatore che il mietitore.
La conclusione reintroduce in scena la donna che non cerca di serbare gelosamente per sé colui che si è rivelato a lei. Il cammino della fede è giunto al suo termine: i samaritani seguono il modello di tutti coloro che hanno la vera fede. Avendo in primo tempo creduto in base alla testimonianza della donna, i samaritani finiscono per credere in base alla parola stessa di Gesù. Essi non soltanto credono, ma riconoscono pure in lui qualcosa di più (“Salvatore del mondo”) del Messia a cui la donna aveva reso testimonianza. Tra la fede imperfetta dei giudei basata sulla vista dei segni, quella dell’intellettuale Nicodemo pronto a riconoscere in Gesù un inviato di Dio ma incapace di aderire alla fede totale in lui, e il percorso compiuto dai samaritani, c’è un abisso. Il racconto descrive l’adesione progressiva al mistero di Gesù di una donna (e attraverso di lei di una comunità): giudeo, Signore, più grande del nostro padre Giacobbe, profeta, Cristo, Salvatore del mondo.

24 aprile 2010

25 APRILE 2010

Domenica del Paralitico – S. Marco apostolo ed evangelista – Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni


Il Sacerdote, dopo aver detto: “Evloghimèni i vasilìa…”, intercalato dal popolo, canta tre volte:

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kìrio, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

O Theòs iktirìse imàs ke evloghìse imàs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Anastìto o Theòs ke dhiaskorpisthìtosan i echthrì aftù ke fighètosan apò prosòpu aftù i misùndes aftòn.

Christòs anèsti…

ISODHIKON

En ekklisìes evloghìte ton Theòn, Kìrion ek pigòn Israìl.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si. Alliluia.

TROPARI

Della Domenica: Effrenèstho ta urània, agalìastho ta epìghia, òte epiìse kràtos en vrachìoni aftù o Kìrios; epàtise to thanàto ton thànaton, protòtokos ton nekròn eghèneto; ek kilìas Adhu errìsato imàs ke parèsche to kòsmo to mèga èleos.

Del Santo: Apòstole àghie ke evanghelistà Màrke, prèsveve to eleìmoni Theò, ìna ptesmàton àfesin paràschi tes psichès imòn.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I ke en tàfo katìlthes, Athànate, allà tu Adhu kathìles tin dhìnamin ke anèstis os nikitìs, Christè o Theòs, ghinexì mirofòris fthenxàmenos. Chèrete, ke tis sis Apostòlis irìnin dhorùmenos, o tis pesùsi parèchon anàstasin.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA (1Pt. 5,6-14)

Fratelli, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli. Amìn! Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente per mezzo di Silvano, fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio. Salutatevi l'un l'altro con bacio di carità. Pace a voi tutti che siete in Cristo!

VANGELO (Gv. 5,1-15)

In quel tempo, vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. (Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto). Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: “Vuoi guarire?”. Gli rispose il malato: “Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me”. Gesù gli disse: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo guarito: “È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio”. Ma egli rispose loro: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina”. Gli chiesero allora: “Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?”. Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco che sei guarito; non peccare più, perchè non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio”. Quell’uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.

MEGALINARIO

O Ànghelos evòa ti kecharitomèni: Aghnì Parthène, chère, ke pàlin erò, chère; o sos Iiòs anèsti triìmeros ek tàfu ke tus nekrùs eghìras, laì agalliàsthe. Fotìzu, fotìzu, i nèa Ierusalìm; i gar dhòxa Kirìu epì se anètile, Chòreve nin ke agàllu, Siòn: Si dhe, aghnì, tèrpu, Theotòke, en ti Eghèrsi tu tòku su.

KINONIKON

Sòma Christù metalàvete, pighìs athanàtu ghèfsasthe. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs anèsti ek nekròn …

SALUTO PASQUALE

Sac.: Christòs anèsti

Pop.: Alithòs anèsti

Sac.: Krishti u ngjall

Pop.: Vërteta u ngjall

Sac.: Cristo è risorto

Pop.: È veramente risorto

Zi ke vasilèvi is pàntas tus eònas. Amìn.

Sac.: Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas …

Pop.: Ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

Commento al Vangelo:
La guarigione del paralitico alla piscina, posta nei pressi della porta delle Pecore che conduceva al tempio, avviene di sabato, nel corso di una celebrazione festiva annuale, non meglio precisata dall’evangelista. La presenza di Gesù a Gerusalemme fa pensare che si tratti di una delle tre grandi feste ebraiche (Pasqua, Pentecoste o la festa delle Capanne), spesso designate come le “feste dei giudei”.
La violazione del “sabato” offre lo spunto a una polemica che i Giudei intessono con Gesù, ma il dialogo si apre progressivamente verso una direzione molto più alta. Infatti Gesù “chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”. Si delinea la divinità e la trascendenza di Gesù, che vengono illustrate in un discorso che egli stesso pronunzia in modo solenne.
L’uomo infermo è affetto da un duplice handicap: da una parte, è malato da tanto tempo (38 anni), ciò lascia supporre che la sua malattia fosse inguaribile. Dall’altra parte, non può approfittare dell’efficacia dell’acqua, riservata al primo che vi entrava, poiché non aveva nessuno che lo immergeva nella piscina. Questo tratto sottolinea la sua solitudine e la sua rassegnazione, tanto da portare la gente a disinteressarsi del suo caso, considerato disperato.
Gesù prende l’iniziativa e volge lo sguardo verso il malato. Informato della durata del suo male, lo interroga per conoscere il suo desiderio. Di fronte alla sua confessione d’impotenza, Gesù fa per lui, il più povero fra tutti quei poveri malati, quel che “le acque agitate” ottenevano a favore del più forte tra di loro.
Il confronto tra le acque guaritrici e Gesù mostra la Sua superiorità: se le “acque agitate” hanno guarito un infermo, a Gesù è bastata una sua parola per guarire, senza ricorrere al segno dell’acqua: “L’uomo fu guarito all’istante”.
Dopo la guarigione Gesù trova l’infermo nel Tempio e gli dice: “ Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio”. Gesù non sostiene che i peccati dell’uomo sono la causa della sua disgrazia. Il “peggio” di cui parla si riferisce senza dubbio al giudizio di Dio.

17 aprile 2010

18 APRILE 2010
DOMENICA DELLE MIROFORE E DEL GIUSTO GIUSEPPE

Il Sacerdote, dopo aver detto: “Evloghimèni i vasilìa…”, intercalato dal popolo, canta tre volte:

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kìrio, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

O Theòs iktirìse imàs ke evloghìse imàs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Anastìto o Theòs ke dhiaskorpisthìtosan i echthrì aftù ke fighètosan apò prosòpu aftù i misùndes aftòn.

Christòs anèsti…

ISODHIKON

En ekklisìes evloghìte ton Theòn, Kìrion ek pigòn Israìl.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si. Alliluia.

TROPARI

Della Domenica: Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.

Del giusto Giuseppe: O evschìmon Iosìf, apò tu xìlu kathelòn, to àchrandòn su Sòma, sindhòni katharà ilìsas ke aròmasin, en mnìmati kenò kidhèvsas apètheto; allà triìmeros anèstis Kìrie, parèchon to kòsmo to mèga èleos.

Delle mirofore: Tes mirofòris ghinexì parà to mnìma epistàs, o ànghelos evòa; ta mìra tis thnitìs ipàrchi armòdhia, Christòs dhe dhiafthoràs edhìchthi allòtrios; allà kravgàsate; Anèsti o Kìrios, parèchon to kòsmo to mega èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I ke en tàfo katìlthes, Athànate, allà tu Adhu kathìles tin dhìnamin ke anèstis os nikitìs, Christè o Theòs, ghinexì mirofòris fthenxàmenos. Chèrete, ke tis sis Apostòlis irìnin dhorùmenos, o tis pesùsi parèchon anàstasin.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA (Atti 6,1-7)

In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: “Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di saggezza, ai quali affideremo quest’incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola”. Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiòchia. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani. Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.

VANGELO (Mc. 15,43-16,8)

In quel tempo Giuseppe d’Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro. Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Joses stavano ad osservare dove veniva deposto. Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso nel sepolcro?”. Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”. Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.

MEGALINARIO

O Ànghelos evòa ti kecharitomèni: Aghnì Parthène, chère, ke pàlin erò, chère; o sos Iiòs anèsti triìmeros ek tàfu ke tus nekrùs eghìras, laì agalliàsthe. Fotìzu, fotìzu, i nèa Ierusalìm; i gar dhòxa Kirìu epì se anètile, Chòreve nin ke agàllu, Siòn: Si dhe, aghnì, tèrpu, Theotòke, en ti Eghèrsi tu tòku su.

KINONIKON

Sòma Christù metalàvete, pighìs athanàtu ghèfsasthe. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs anèsti ek nekròn …

SALUTO PASQUALE

Sac.: Christòs anèsti

Pop.: Alithòs anèsti

Sac.: Krishti u ngjall

Pop.: Vërteta u ngjall

Sac.: Cristo è risorto

Pop.: È veramente risorto

Zi ke vasilèvi is pàntas tus eònas. Amìn.

Christòs anèsti ek nekròn …

Commento al Vangelo:
La descrizione della sepoltura di Gesù è una conferma della sua morte; e benché i dettagli siano riportati in vista del successivo episodio della tomba vuota, la narrazione non può essere un pezzo redazionale nel quale un pio giudeo dà a Gesù un'affrettata sepoltura e i suoi stessi discepoli non vi prendono alcuna parte.
"Giuseppe d'Arimatea": Giuseppe appare qui come un pio giudeo, un membro in vista del Sinedrio, che spinto dalla sua devozione o perlomeno rispetto per le norme del Deuteronomio cercò di dare sepoltura a Gesù. Matteo ce lo presenta come un ricco discepolo di Gesù.
"Il cadavere": Marco usa il crudo termine greco "ptoma" = "cadavere", vale a dire ciò che è caduto.
"Lenzuolo": o drappo funerario che non può essere così facilmente identificato con la Sindone di Torino.
Il racconto è costruito con sobrietà: il viaggio delle donne al sepolcro, la sorpresa della pietra ribaltata, la presenza del messaggero celeste che annuncia le Risurrezione, l'incarico alle donne di riferire ai discepoli, il comando ai discepoli di recarsi in Galilea, il riferimento alle parole del Gesù terreno.
Ma attraverso alcune piccole precisazioni Marco ci rivela la sua intenzione di mettere in risalto la "sorpresa" delle donne. Si può dire che le donne passano di sorpresa in sorpresa, e la loro reazione è di disorientamento, di paura e di incomprensione.
La prima sorpresa è la pietra ribaltata, ma il loro problema è superato dall'avvenimento! Sono donne piene di amore verso Cristo e hanno pensato a tutto, ma sono rimaste al di qua del vero significato di Cristo e della sua morte: la Risurrezione le coglie di sorpresa, esse sono rimaste ferme all'ora della morte di Gesù.
C'è una seconda sorpresa: la presenza del messaggero celeste e il suo annuncio. La presenza del messaggero celeste fa parte del genere teofanico. E qui si tratta, appunto, di una teofania sul modello delle teofanie bibliche dell'Antico Testamento. Fedele in questo alla tradizione biblica, Marco mostra che l'incontro con il divino - quando esso si rivela - suscita nell'uomo meraviglia e timore. Con l'espressione: " È risorto!", l'angelo dà notizia dell'avvenuto miracolo e cioè che egli è intervenuto nella storia quando da un punto di vista umano tutto era finito. A questa notizia la reazione delle donne è la medesima: di stupore, paura e meraviglia.
Marco non ha perso occasione, lungo il suo racconto, per ricordare l'incomprensione dei discepoli, il segreto messianico, il timore e la paura di fronte alle manifestazioni di Gesù. È la reazione normale dell'uomo non solo di fronte al Gesù terreno, ma anche ora di fronte al Gesù risorto, di fronte alla Parola annunciata dalla comunità. Si direbbe una incomprensione invincibile. Ma non è così: se non altro, di fronte al disorientamento delle donne, c'è la fiducia di Dio che affida ad esse la sua promessa: "Andate, dunque, dite ai discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea; là lo vedrete, come vi disse".
L'incomprensione dell'uomo non arresta il piano di Dio. Le parole del messaggero suonano come una promessa, sono aperte sul futuro. L'avventura di Cristo continua, vittoriosa sulla cecità dei discepoli: di fronte all’incomprensione ancora perdurante degli uomini, rimane la promessa di Gesù che egli li precederà e che opererà egli stesso laddove gli uomini sono incapaci, che chiamerà ancora una volta, nonostante tutte le loro defezioni, i discepoli a seguirlo, e che andrà loro incontro, in modo che essi lo vedano.
Marco afferma che il Signore risorto è lo stesso Gesù di Nazaret. La Risurrezione, quindi, manifesta il vero senso della vita terrestre del salvatore: una via che nascondeva la salvezza, la vittoria di Dio, il suo amore. Fra i due momenti - il Gesù di Nazaret e il Signore risorto - non c'è rottura, ma un rapporto che corre tra ciò che è nascosto e ciò che è svelato.
La Risurrezione, in definitiva, è rivelazione della via di Gesù ma anche rivelazione dell'esistenza cristiana: la realtà salvifica è già presente e operante nel cristiano. Solo che l'uomo non sa vedere. I suoi occhi devono "aprirsi", e solo Dio può aprirli al suo mistero di salvezza.
"Comprarono oli aromatici ": l'unzione di un cadavere era permesso dalle legge rabbinica.
"Chi ci rotolerà il masso?": la loro domanda è giustificata dal peso enorme delle pietre circolari che venivano fatte rotolare su una pista scavata nella pietra e usate in Palestina per chiudere l'entrata delle grotte sepolcrali.
"La pietra era già stata rotolata": Marco non dice come; Matteo ascrive ciò all'"angelo del Signore" venuto dal cielo a questo scopo.
"Entrando nel sepolcro": cioè nella stanza o stanze che contenevano dei loculi per i corpi dei morti.
"Videro un giovane vestito di bianco": la parola "giovane" si trova nel secondo libro dei Maccabei e designa un angelo. Potrebbe essere stato questo il senso voluto qui da Marco; in Matteo è "un angelo" che rivolge la parola alle donne. Il messaggio che Marco ci vuol far pervenire, nella sua viva e pittoresca relazione, è che le donne compresero appieno il significato del sepolcro vuoto.
"È risorto, non è qui": in questo modo la semplicità di Marco formula il fondamentale annuncio pasquale dei cristiani; la croce ha come sua fase finale il sepolcro vuoto.
"Vi precede in Galilea": queste parole preannunciano le apparizioni in Galilea. Essi vedranno il Gesù risorto negli stessi luoghi nei quali videro le sue azioni e i suoi miracoli.
"Erano piene di timore e spavento": tale è l'effetto del messaggio.

10 aprile 2010

11 APRILE 2010
DOMENICA DEL RINNOVAMENTO OVVERO DEL SANTO APOSTOLO TOMMASO CHE TOCCO’ IL COSTATO DEL SIGNORE

Il Sacerdote, dopo aver detto: "Evloghimèni i vasilìa", intercalato dal popolo, canta tre volte:

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kìrio, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

O Theòs iktirìse imàs ke evloghìse imàs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Anastìto o Theòs ke dhiaskorpisthìtosan i echthrì aftù ke fighètosan apò prosòpu aftù i misùndes aftòn.

Christòs anèsti…

ISODHIKON

En ekklisìes evloghìte ton Theòn, Kìrion ek pigòn Israìl.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si. Alliluia.

TROPARI

Esfraghismènu tu mnìmatos, i zoì ek tàfu anètilas, Christè o Theòs; ke ton thìron keklismènon, tis Mathitès epèstis i pàndon Anàstasis, Pnèvma evthès dhi aftòn enkenìzon imìn, katà to mèga su èleos.

I ke en tàfo katìlthes, Athànate, allà tu Adhu kathìles tin dhìnamin ke anèstis os nikitìs, Christè o Theòs, ghinexì mirofòris fthenxàmenos. Chèrete, ke tis sis Apostòlis irìnin dhorùmenos, o tis pesùsi parèchon anàstasin.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA (Atti 5,12-21)

In quei giorni, molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti. Si alzò allora il sommo sacerdote e quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducei, pieni di livore, e fatti arrestare gli apostoli li fecero gettare nella prigione pubblica. Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione, li condusse fuori e disse: “Andate e mettetevi a predicare al popolo nel tempio tutte queste parole di vita”. Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare.

VANGELO (Gv. 20,19-31)

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i Discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, non rimessi resteranno”. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era anche con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

MEGALINARIO

Se tin fainìn lampàdha, ke Mitera tu Theù, tin arìzilon dhòxan, ke anotèran pàndon ton piimàton en ìmnis megalìnomen.

KINONIKON

Epèni, Ierusalìm, ton Kìrion; èni ton Thèon su, Siòn. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs anèsti…

OPISTHAMVONOS

Signore Gesù Cristo, che ci hai rilevato nella tua Carne una via nuova e vivente, una vita nuova, col costituirti nell’incorruttibilità primizia della risurrezione dai morti, hai dato anche la speranza della tua perenne immortalità! Oppressi intanto dalle passioni, chiediamo il tuo aiuto, o Signore; rintuzza gli assalti dei nostri nemici invisibili; abbi compassione di coloro che sono schiavi del peccato; concedi la tua pace a noi come la desti ai tuoi discepoli quando comparisti in mezzo a loro a porte chiuse; rendici incrollabili nella fede in te, che per noi hai patito e sei risuscitato; in essa tu hai confermato il tuo discepolo Tommaso con l’ineffabile tua apparizione e col contatto della tua Carne risorta, liberandolo dalla sua prima incredulità. Signore, sei tu che fai cose mirabili e che trasmuti ogni cosa; a te si deve gloria insieme col Padre e con lo Spirito Santo ora e sempre e nei secoli dei secoli.

APOLISIS

O ton thànaton patìsas ke ton Thomàn pliroforìsas…

SALUTO PASQUALE

Sac.: Christòs anèsti
Pop.: Alithòs anèsti

Sac.: Krishti u ngjall
Pop.: Vërteta u ngjall

Sac.: Cristo è risorto
Pop.: È veramente risorto

Zi ke vasilèvi is pàntas tus eònas. Amìn.

Sac.: Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas …
Pop.: Ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

Commento al Vangelo:
Questo brano riferisce due apparizioni del Risorto: l’una ai discepoli, la sera dello stesso giorno di Pasqua, l’altra a Tommaso, otto giorni dopo. Al termine di queste due apparizioni, si ha la prima conclusione dell’intero vangelo.
L’inizio del racconto vuole far capire che il Risorto che appare è il Gesù crocifisso sul Calvario. Da una parte l’entrare a porte “chiuse”, il fermarsi “in mezzo” agli apostoli e il rivolgere loro la parola dicono chiaramente che Gesù è vivo e possiede un’esistenza del tutto nuova, non quella del semplice tornato in vita, come Lazzaro. D’altra parte Gesù “mostrò loro le mani e il costato”, cioè i segni che il martirio subìto avevano provocato sul suo corpo. Il mistero pasquale consiste proprio nell’identità tra il Gesù del venerdì santo e il Signore della domenica di Pasqua e di tutto il tempo della vita della Chiesa. Credere fermamente che Gesù è risorto e che la sua risurrezione è causa anche della nostra, è sorgente di forza e di speranza.
I doni del Risorto possiamo ridurli a tre: il conferimento della missione, il dono dello Spirito Santo e il potere di rimettere i peccati. Il conferimento della missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Il parallelismo Padre-Figlio e Figlio-credente, caratteristico del linguaggio di Giovanni, è ben più che una semplice analogia: realmente Gesù conferisce ai suoi la missione che ha ricevuto dal Padre. La frase più vicina alla nostra è quella della preghiera sacerdotale: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo”. Il dono dello Spirito Santo: “Gesù alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo”. Il verbo greco “emfjsào”, soffiare, usato per indicare la trasmissione dello Spirito, ricorre solo qui nel Nuovo Testamento ed è anche assai raro nell’Antico Testamento; ricorre in Genesi quando Jahwè soffia lo spirito di vita sulla creta per essere uomo vivente, poi in Ezechiele per descrivere la nuova vita delle “ossa aride”. Questo contesto generale ci porta a ritenere che nel nostro versetto si parli di un nuovo atto creativo: mediante il dono dello Spirito, Gesù compie nei discepoli una nuova creazione. Non possiamo qui specificare adeguatamente il rapporto tra questo dono dello Spirito e quello della Pentecoste narrato dagli Atti degli Apostoli. Molti studiosi ritengono che Giovanni abbia anticipato qui il fatto della Pentecoste per esprimere così la totalità tra i due avvenimenti. Il potere di rimettere i peccati: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”. Il Risorto conferisce questo potere a quanti si trovavano in quel determinato luogo a porte chiuse, cioè agli apostoli; conseguentemente si tratta di un potere di carattere ecclesiale concesso agli apostoli e ai loro successori.
L’adesione di fede nel Figlio di Dio: nella seconda apparizione, avvenuta “otto giorni dopo”, predominano la persona del Risorto e quella di Tommaso. Quest’ultimo è disposto a fare propria la lieta testimonianza degli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore” soltanto se controllerà fisicamente nel Risorto i segni della passione. Con questo atteggiamento di Tommaso, l’evangelista ha in modo di portare avanti l’identità già riscontrata tra il Crocifisso e il Risorto. Con sconfinata condiscendenza Gesù viene incontro alla pretesa di Tommaso e lo porta a proferire la più alta professione di fede presente nel quarto vangelo: “Signore mio e Dio mio!”. L’esatto sfondo per capire tale risposta è quello dell’Antico Testamento, dove le parole “Signore” e “Dio” corrispondono ai nomi ebraici di “Jahwè” e “Elohim” e sono molto vicine a quanto scrive il Salmo 35: “Mio Dio e mio Signore”. Con la tecnica, abituale nel Nuovo Testamento, di trasferire su Cristo quanto l’Antico Testamento dice di Jahwè, qui viene proclamata esplicitamente la divinità del Crocifisso-Risorto che Tommaso ha davanti. Le altre professioni di fede, che Giovanni dissemina nel suo vangelo – quali quella di Natanaele, degli abitanti di Sicar, di Simon Pietro, del cieco nato e di Marta – rimangono al di sotto di questa di Tommaso. Da questo momento in avanti il resto del nostro testo non fa altro che sottolineare il tema della fede: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.
L’intero brano deve essere letto in chiave liturgica ed eucaristica, nel contesto dell’assemblea domenicale. È quanto ci suggerisce il testo stesso con le frasi: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”, cioè la domenica, “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa”, dove quel “di nuovo” suggerisce che i discepoli si riunivano ogni settimana, di domenica, e non ogni giorno. Ricordiamo che quando Giovanni scriveva l’assemblea eucaristica domenicale aveva già avuto un buon collaudo; si vedano Atti 20, 7-11 (la celebrazione domenicale a Triade) e 1Cor 16,2 (la celebrazione domenicale a Corinto). È dagli scritti di Giovanni che proviene il termine “giorno del Signore” o domenica.

3 aprile 2010

04 APRILE 2010
SANTA E GRANDE DOMENICA DI PASQUA

“Alcuni scribi e farisei lo interrogarono: ‘Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno’. Ed egli rispose: ‘Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno del profeta Giona. Come, infatti, Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra’”. Ecco, allora, che secondo la sua promessa il Re della Gloria rivestito della porpora della sua carne ha visitato i prigionieri ed ha proclamato la liberazione di coloro che giacevano nelle ombre. Assunse la nostra carne per darci sovrabbondanti le sue grazie e il suo corpo fu come esca gettato in braccio alla morte, affinchè, mentre il drago infernale sperava di divorarlo, dovesse invece vomitare anche coloro che aveva già divorato. Egli, infatti, precipitò la morte per sempre ed asciugò da tutti gli occhi le lacrime. È entrato nelle fauci della morte e, come Giona, nel ventre del cetaceo ha soggiornato tra i morti, non perché vinto, ma per raccattare la dramma perduta, la pecorella smarrita: Adamo. Fiaccola portatrice di luce, la carne di Dio, sottoterra dissipa le tenebre dell’inferno. La luce risplende fra le tenebre. L’icona della resurrezione di Cristo è la rappresentazione iconografica di questo grande mistero: la discesa del Signore agli inferi per liberare le anime dei giusti. Questo poteva farlo solo Lui. Dice, infatti, l’Apostolo Paolo: “Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri (…). Ma che significa la parola ‘ascese’, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose: Gesù Cristo, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua eguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. Nella tradizione delle Chiese bizantine, infatti, sono essenzialmente due le rappresentazioni iconografiche: la Discesa agli Inferi e le Donne recanti aromi (Mirofore) al sepolcro. Sono due modi di esprimere lo stesso concetto : “Cristo è risorto!”.

(Tratto da Gaetano Passarelli, L'Icona della Resurrezione, La Casa di Matriona, Milano 1991)

Il Sacerdote, dopo aver detto: "Evloghimèni i vasilìa", mentre incensa l’altare, le icone e l’assemblea, intercalato col popolo, canta tre volte:

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

Poi il tropario si intercala una volta a ogni versetto recitato dal sacerdote:

Anastìto o Theòs ke dhiaskorpisthìtosan i echthrì aftù ke fighètosan apò prosòpu aftù i misùndes aftòn.

Os eklìpi kapnòs, eklipètosan, os tìkete kiròs apò prosòpu piròs.

Ùtos apolùnde i amartolì apò prosòpu tu Theù ke i dhìkei effranthìtosan.

Àfti i imèra, in epìisen o Kìrios, agalliasòmetha ke effranthòmen en aftì.

Dhòxa Patrì, ke Iiò, ke Aghìo Pnèvmatì.

Ke nin ke aì ke is tus eònas ton eònon. Amìn.

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas …

Ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kìrio, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

O Theòs iktirìse imàs ke evloghìse imàs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Anastìto o Theòs…

Christòs anèsti ek nekròn…

ISODHIKON

En ekklisìes evloghìte ton Theòn, Kìrion ek pigòn Israìl.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si. Allilùia.

TROPARI

Christòs anèsti ek nekròn … (3 volte)

Prolavùse ton òrthron e perì Mariàm, ke evrùse ton lìthon apokilisthènda tu mnìmatos, ìkuon ek tu Anghèlu: Ton en fotì aidhìo ipàrchonda, metà nekròn ti zitìte os ànthropon? Vlèpete ta endàfia spàrgana; dhràmete ke to kòsmo kirìxate, os ighèrthi o Kìrios, thanatòsas ton thànaton; òti ipàrchi Theù Iiòs, tu sòzondos to ghènos ton anthròpon.

I ke en tàfo katìlthes, athànate, allà tu Àdhu kathìles tin dhìnamin; ke anèstis os nikitìs, Christè o Theòs, ghinexì Mirofòris fthenxàmenos: Chèrete, ke tis sis Apostòlis irìnin dhorùmenos, o tis pesùsi parèchon anàstasin.

TRISAGHION

Òsi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allilùia.

EPISTOLA (Atti 1,1-8)

Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre “quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni” .Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino agli estremi confini della terra”.

VANGELO (Gv. 1,1-17)

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

MEGALINARIO

O Ànghelos evòa ti kecharitomèni: Aghnì Parthène, chère, ke pàlin erò, chère; o sos Iiòs anèsti triìmeros ek tàfu ke tus nekrùs eghìras, laì agalliàsthe. Fotìzu, fotìzu, i nèa Ierusalìm; i gar dhòxa Kirìu epì se anètile, Chòreve nin ke agàllu, Siòn: Si dhe, aghnì, tèrpu, Theotòke, en ti Eghèrsi tu tòku su.

KINONIKON

Sòma Christù metalàvete, pighìs athanàtu ghèfsasthe. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs anèsti ek nekròn …

OPISTHAMVONOS

Lambrà imìn ke sotìrios sìmeron imèra epèfanen, adhelfì, i tu Kirìu imòn Iisù Christù Anàstasis; ke dhià tùtu dhiafòris andhràsi kekòsmite o tu Kirìu naòs. Idhù gar ke pollì ton eklektòn ke pistòn u mònon ton tis nistìas kòpon ilaròs ipìnenkan, all’èti, ke lambàdas anàpsandes, ti tis Anastàseos eortì prothìmos to Vasilì ton eònon dhòra prosèferon. Ti gar Anastàsi Christù tu Theù imòn, chèri pàsa i ikumèni, o uranòs kathèrete ti ègli tis Theòtitos, ghi stolìzete, thàlassa praìnete, tìranni pàvusin, efsevìs prokòptusin, katichùmeni fotìzonde, echthrì is irìnin èchonde, peplanimèni epistrèfusin, e amartìe lìonde, e Ekklisìe effrènonde, ke Christòs o Theòs doxàzete, allà ke mitères lambrès angàles to Vasilì tòn eònon dhòra prosàgusi, uchì limònon ànthi, allà tin ton neofotìston chàrin tu Pnèvmatos. Dhiò ke imòn ton tapinòn ierèon tin thisìan ke latrìan pròsdhexe, ton ek neòtitos imòn mèchri ghìrus plimmelimàton àfesin dhòrise, os agathòs ke filànthropos Theòs imòn. Tis orthodhòxis àrchusin nìkas dhòrise katà ton polemìon. Ton Archierèa imòn, Kìrie, fìlaxon en to timìo thròno aftù. Ton àpanda klìron ke laòn en irìni ke omonìa dhiatìrison. Ton periestòta laòn ke en apolàfsi ghenòmenon ton thìon ke achràndon ke zoopiòn su mistirìon frùrison, elèison ke dhiafìlaxon; presvìes tis achràndu su Mitròs, ton aghìon Apostòlon ke ton mirofòron ghinekòn; òti si i o anastàs ek nekròn, Christè o Theòs imòn, ke si tin dhòxan anapèmbomen, sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

SALUTO PASQUALE

Sac.: Christòs anèsti

Pop.: Alithòs anèsti

Sac.: Krishti u ngjall

Pop.: Vërteta u ngjall

Sac.: Cristo è risorto

Pop.: È veramente risorto

Zi ke vasilèvi is pàntas tus eònas. Amìn.

Christòs anèsti ek nekròn…

CATECHESI DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO

Se uno è pio e amico di Dio, goda di questa solennità bella e luminosa. Il servo d’animo buono entri gioioso nella gioia del suo Signore. Chi ha faticato nel digiuno, goda ora il suo denaro. Chi ha lavorato sin dalla prima ora, riceva oggi il giusto salario. Se uno è arrivato dopo la terza ora, celebri grato la festa. Se uno è giunto dopo la sesta ora, non dubiti perché non ne avrà alcun danno. Se uno ha tardato sino all’ora nona, si avvicini senza esitare. Se uno è arrivato solo all’undicesima ora, non tema per la sua lentezza: perché il Sovrano è generoso e accoglie l’ultimo come il primo. Egli concede il riposo a quello dell’undicesima ora, come a chi ha lavorato sin dalla prima. Dell’ultimo ha misericordia, e onora il primo. Dà all’uno e si mostra benevolo con l’altro. Accoglie le opere e gradisce la volontà. Onora l’azione e loda l’intenzione. Entrate dunque tutti nella gioia del nostro Signore: primi e secondi, godete la mercede. Ricchi e poveri, danzate in coro insieme. Continenti e indolenti, onorate questo giorno. Quanti avete digiunato e quanti non l’avete fatto, oggi siate lieti. La mensa è ricolma, deliziatevene tutti. Il vitello è abbondante, nessuno se ne vada con la fame. Tutti godete il banchetto della fede. Tutti godete la ricchezza della bontà. Nessuno lamenti la propria miseria, perché è apparso il nostro comune regno. Nessuno pianga le proprie colpe, perché il perdono è sorto dalla tomba. Nessuno tema la morte, perché la morte del Salvatore ci ha liberati. Stretto da essa, egli l’ha spenta. Ha spogliato l’ade, colui che nell’ade è disceso. Lo ha amareggiato, dopo che quello aveva gustato la sua carne. Ciò Isaia lo aveva previsto e aveva gridato: L’ade è stato amareggiato, incontrandoti nelle profondità. Fu amareggiato, perché fu distrutto. Fu amareggiato, perché fu giocato. Fu amareggiato, perché fu ucciso. Fu amareggiato, perché fu annientato. Fu amareggiato, perché fu incatenato. Aveva preso un corpo, e si è trovato davanti Dio. Aveva preso terra e ha incontrato il cielo. Aveva preso ciò che vedeva, ed è caduto per quel che non vedeva. Dov’è, o morte il tuo pungiglione? Dov’è, o ade, la tua vittoria? Cristo è risorto, e tu sei stato precipitato. Cristo è risorto, e i demoni sono caduti. Cristo è risorto, e gioiscono gli angeli. Cristo è risorto, e regna la vita. Cristo è risorto, e non c’è più nessun morto nei sepolcri. Perché Cristo risorto dai morti è divenuto primizia dei dormienti. A lui la gloria e il potere per i secoli dei secoli. Amìn.