30 aprile 2010

02 MAGGIO 2010
Domenica della Samaritana -
Traslazione delle reliquie del nostro santo padre Atanasio il grande, patriarca di Alessandria - Giornata di sensibilizzazione per il sostegno economico alla Chiesa cattolica
Il Sacerdote, dopo aver detto: “Evloghimèni i vasilìa…”, intercalato dal popolo, canta tre volte:

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kìrio, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

O Theòs iktirìse imàs ke evloghìse imàs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Anastìto o Theòs ke dhiaskorpisthìtosan i echthrì aftù ke fighètosan apò prosòpu aftù i misùndes aftòn.

Christòs anèsti…

ISODHIKON

En ekklisìes evloghìte ton Theòn, Kìrion ek pigòn Israìl.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si. Alliluia.

TROPARI

Della Domenica: To fedhròn tis anastàseos kìrighma ek tu anghèlu mathùse e tu Kirìu mathìtrie, ke tin progonikìn apòfasin aporrìpsase tis Apostòlis kafchòmene èlegon: Eskìlefte o thànatos, ignèrthi Christòs o Thèos, dhorùmenos to kòsmo to mèga èleos.

Della mezza Pentecoste: Mesùsis tis eortìs, dhipsòsan mu tin psichìn evsevìas pòtison nàmata; o dhipsòn erchèstho pros me ke pinèto. I pighì tis zoìs, Christè o Theòs, dhòxa si.

Del Santo: Stìlos ghègonas orthodhoxìas, thìis dhògmasin ipostirìzon tin ekklisìan Ieràrcha Athanàsie, to gar Patrì ton Iiòn omoùsion anakirìxas, katìschinas Arìon. Pàter òsie, Christòn ton Theòn ikèteve dhorìsasthe imìn to mèga èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I ke en tàfo katìlthes, Athànate, allà tu Adhu kathìles tin dhìnamin ke anèstis os nikitìs, Christè o Theòs, ghinexì mirofòris fthenxàmenos. Chèrete, ke tis sis Apostòlis irìnin dhorùmenos, o tis pesùsi parèchon anàstasin.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA (Eb. 13,7-16)

Fratelli, ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono. Noi abbiamo un altare del quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che sono al servizio del Tabernacolo. Infatti i corpi degli animali, il cui sangue vien portato nel santuario del sommo sacerdote per i peccati, vengono bruciati fuori dell’accampamento. Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il suo sangue, patì fuori della porta della città. Usciamo dunque anche noi dall’accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura. Per mezzo di lui dunque offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome. Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace.

VANGELO (Gv. 4,5-42)

In quel tempo Gesù giunse ad una città della Samarìa chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso l'ora sesta. Arrivò intanto una donna di Samarìa ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Le disse: “Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. Gesù le dice: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”. In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: “Che desideri?”, o: “Perché parli con lei?”. La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”. Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. Ma egli rispose: “Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?”. Gesù disse loro: “Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro”. Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.

MEGALINARIO

O Ànghelos evòa ti kecharitomèni: Aghnì Parthène, chère, ke pàlin erò, chère; o sos Iiòs anèsti triìmeros ek tàfu ke tus nekrùs eghìras, laì agalliàsthe. Fotìzu, fotìzu, i nèa Ierusalìm; i gar dhòxa Kirìu epì se anètile, Chòreve nin ke agàllu, Siòn: Si dhe, aghnì, tèrpu, Theotòke, en ti Eghèrsi tu tòku su.

KINONIKON

Sòma Christù metalàvete, pighìs athanàtu ghèfsasthe. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs anèsti ek nekròn …

SALUTO PASQUALE

Sac.: Christòs anèsti

Pop.: Alithòs anèsti

Sac.: Krishti u ngjall

Pop.: Vërteta u ngjall

Sac.: Cristo è risorto

Pop.: È veramente risorto

Zi ke vasilèvi is pàntas tus eònas. Amìn.

Sac.: Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas …

Pop.: Ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

Commento al Vangelo:
La crescente ostilità del giudaismo ufficiale serve a Giovanni da introduzione a questo racconto e aiuta a porre maggiormente in risalto, a modo di contrasto, l’accoglienza favorevole che Gesù riceve dai samaritani. L’evangelista si sofferma a lungo su quest’episodio samaritano, forse perché i samaritani dovevano formare un gruppo importante della sua comunità. Nel raccontare quest’episodio, mentre l’insuccesso della predicazione di Gesù presso i giudei è evidente, Giovanni si compiace di dilungarsi su questa prima piena riuscita della rivelazione di Gesù. Giovanni è il solo che riferisce questa storia. Matteo racconta di evitare i villaggi samaritani. Anche Luca parla dei samaritani, ma non ha nulla in comune con Giovanni. Quale credibilità storica dobbiamo attribuire a questo racconto? Senza dubbio l’evangelista conosce bene le usanze e le credenze dei samaritani, ma la storia serve da pretesto a un insegnamento talmente elaborato che bisogna rinunziare a vedere in essa una cronaca ritratta dal vero.
Quest’episodio si divide in tre parti: Gesù e la Samaritana, Gesù e i discepoli, Gesù e i samaritani.
Con molta abilità il narratore introduce la maggior parte degli elementi essenziali al racconto. La frase: “Egli doveva passare per la Samaria” sottolinea una necessità misteriosa: Gesù ha scelto la via più breve, un viaggio di tre giorni, per passare dalla Giudea alla Galilea, attraverso il territorio dei samaritani, i quali mostravano di frequente la loro ostilità contro i pellegrini giudei e galilei. L’altro passaggio, invece più faticoso a causa del caldo, attraverso la valle del Giordano, era raccomandato ai giudei desiderosi di conservare la loro purezza culturale, senza passare per la Samaria impura. Di Gesù, il pellegrino, l’introduzione precisa che era affaticato, sottolineando così una nota di umanità. Nei pressi di un pozzo che la tradizione attribuiva al patriarca Giacobbe, nel terreno lasciato a suo figlio Giuseppe, Gesù incontra all’ora sesta, cioè a mezzogiorno, una donna di Samaria. Non solo era inaudito che un rabbino si fermasse a parlare familiarmente in pubblico con una donna, ma era altrettanto inconcepibile che un giudeo chiedesse dell’acqua ad un samaritano. I giudei consideravano come ritualmente impuri i samaritani e, di conseguenza, gli utensili che adoperavano per mangiare e bere. Gesù non ha scrupoli di questo genere, i vangeli hanno sottolineato di frequente il suo atteggiamento libero di fronte agli aspetti rituali dei giudei. Il dialogo con la donna inizia con una richiesta di Gesù: “Dammi da bere”. Il rifiuto della donna di darle da bere va visto in una visione di intolleranza, cioè di rigido rifiuto verso l’altro popolo: “I Giudei non hanno rapporti con i Samaritani”. La risposta di Gesù (“Se tu conoscessi il dono di Dio …”) è carica di insegnamenti. L’interesse si sposta dal pozzo materiale verso quest’uomo, questo giudeo affaticato, assetato, che nella sua privazione si presenta come colui che può dare. E il dono proposto non ha più alcun rapporto con l’acqua del pozzo: è un’acqua viva. Egli introduce nel dialogo una dimensione misteriosa: dal pozzo materiale al quale chiedeva acqua, sposta l’interesse su se stesso, dono di Dio, capace di dare un’acqua viva. Come Nicodemo anche la donna interpreta le parole di Gesù alla lettera: “Non hai neppure un secchio… da dove prendi dunque l’acqua viva?”. Persino Giacobbe dovette rassegnarsi a fare uso del pozzo. A questo punto Gesù comincia a spiegare il suo pensiero: il libro del Siracide afferma che colui che si abbevera alla sapienza avrà di nuovo sete, cioè, il suo desiderio della sapienza diventerà sempre più insaziabile. Tale desiderio, quindi, non può mai essere soddisfatto. Al contrario, l’acqua che Cristo darà soddisferà per sempre la sete; chiunque beva di questa acqua avrà dentro se stesso la sorgente della vita eterna. La donna non ha ancora capito nulla e chiede, forse ironicamente, che le venga data quest’acqua meravigliosa in grado di dissetarla una volta per sempre e di risparmiarle tutti quei viaggi al pozzo. La risposta di Gesù la convince che egli possiede una conoscenza sovrumana (“Va’ a chiamare tuo marito…”); essa viene portata gradualmente a rendersi conto che le parole di Gesù dovevano avere un significato ben più profondo. A questo punto la donna riconosce Gesù come un profeta. Prima essa aveva visto in lui un giudeo. Il filo comune che attraversa le tappe di questa donna per riconoscere Gesù, è l’interiorizzazione. Alla sorgente esteriore si è sostituita quella interiore, all’osservanza esteriore della legge si è sostituita quella interiore; al culto esterno, quello interno. Questo culto spirituale deriva dalla natura stessa di Dio (Dio è spirito). Gesù dice che: “I veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità”. Questo culto in Spirito e verità è quello che ogni credente abitato dallo Spirito rende al Padre. Esso è interiore non perché localizzato nella parte più intima di ciascuno di noi, ma perché è opera dello Spirito (che è verità), il quale suscita in noi l’adorazione al Padre. Tale ispirazione proviene dalla presenza e dalla permanenza dello Spirito in noi. All’epoca storica della samaritana, lo Spirito doveva ancora venire; al tempo dell’evangelista, è già venuto. Tale nascita di un culto spirituale interiorizzato si fonda sulla rivelazione del mistero di Dio: “Dio è Spirito”. Quest’affermazione prende le distanze da tutte le rappresentazioni, le immagini, i santuari. Dio è al di là del linguaggio stesso dell’uomo: è all’opposto di ciò che è “carnale”. In una simile rivelazione, il rapporto con i luoghi, con la stessa terra, si relativizza. Ormai Dio non è più legato alla terra, per quanta santa essa sia, ma abita nel cuore di ogni uomo, nel quale lo Spirito ha posto la sua dimora. La donna arriva così al termine della sue esperienza spirituale. Ha seguito Gesù quando le ha annunciato il dono dello Spirito, quando le ha rivelato la sua verità interiore, quando ha chiarito il suo rapporto con la religione. Fino a questo momento, Gesù era il rivelatore di un tempo nuovo. Resta da fare l’ultimo passo in questa immersione all’interno del mondo della rivelazione. Sappiamo ben poco della fede messianica che i samaritani (per i quali soltanto il Pentateuco era Scrittura ispirata) avevano in comune con i giudei; essi designavano il Messia con l’appellativo di Ta’eb, “colui che ritorna” o “colui che restaura”. Gesù accetta questa identificazione della sua persona e si rivela come non farà mai altrove nel vangelo di Giovanni: “Sono io che ti parlo”. L’espressione “Io sono” riprende il titolo stesso del Signore al Sinai. La donna allora può andare via abbandonando la sua giara: non ne avrà più bisogno. Quella che non riusciva a saziare la sua sete di vivere e di esistere, ha incontrato un uomo che ha messo in lei una sorgente di vita che le dà un’autonomia e un senso.
Ora i discepoli ritornano dalla loro commissione e si meravigliano non tanto che Gesù parli con una samaritana quanto che si intrattenga con una donna. Però, conoscendo bene il loro maestro, non ardiscono fare alcun commento negativo mentre egli è presente. Nell’andarsene, la donna lasciò la sua brocca dell’acqua perché Gesù potesse berne. È possibile che Giovanni veda qui un significato simbolico: ora che la donna è arrivata alla sorgente dell’acqua viva, non sente più il bisogno dell’altra. Nel frattempo anche i discepoli danno prova di essere lenti ad affermare il vero significato delle profonde parole di Gesù che essi interpretano soltanto nel loro senso materiale e superficiale. Gesù, si spiega meglio citando un proverbio palestinese: tra la semina e il raccolto corre un periodo di quattro mesi. Il raccolto, però, di cui parla Gesù (il raccolto sul campo seminato da Dio) è già pronto ora. La prova di ciò è nella donna che in questo preciso momento sta affrettandosi verso il villaggio per rendere testimonianza ai suoi compaesani i quali torneranno subito a vedere essi stessi. In questo racconto non esiste alcun intervallo tra la semina e la messe, ma il mietitore (Dio stesso) si identifica con il seminatore (Gesù) ed entrambi si rallegrano in pari tempo. Si è avverato qui il vecchio proverbio ma non nel senso che gli veniva attribuito (“C’è chi semina e c’è chi raccoglie”), dato che in questo raccolto Dio è sia il seminatore che il mietitore.
La conclusione reintroduce in scena la donna che non cerca di serbare gelosamente per sé colui che si è rivelato a lei. Il cammino della fede è giunto al suo termine: i samaritani seguono il modello di tutti coloro che hanno la vera fede. Avendo in primo tempo creduto in base alla testimonianza della donna, i samaritani finiscono per credere in base alla parola stessa di Gesù. Essi non soltanto credono, ma riconoscono pure in lui qualcosa di più (“Salvatore del mondo”) del Messia a cui la donna aveva reso testimonianza. Tra la fede imperfetta dei giudei basata sulla vista dei segni, quella dell’intellettuale Nicodemo pronto a riconoscere in Gesù un inviato di Dio ma incapace di aderire alla fede totale in lui, e il percorso compiuto dai samaritani, c’è un abisso. Il racconto descrive l’adesione progressiva al mistero di Gesù di una donna (e attraverso di lei di una comunità): giudeo, Signore, più grande del nostro padre Giacobbe, profeta, Cristo, Salvatore del mondo.

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