10 aprile 2010

11 APRILE 2010
DOMENICA DEL RINNOVAMENTO OVVERO DEL SANTO APOSTOLO TOMMASO CHE TOCCO’ IL COSTATO DEL SIGNORE

Il Sacerdote, dopo aver detto: "Evloghimèni i vasilìa", intercalato dal popolo, canta tre volte:

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kìrio, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

O Theòs iktirìse imàs ke evloghìse imàs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Anastìto o Theòs ke dhiaskorpisthìtosan i echthrì aftù ke fighètosan apò prosòpu aftù i misùndes aftòn.

Christòs anèsti…

ISODHIKON

En ekklisìes evloghìte ton Theòn, Kìrion ek pigòn Israìl.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si. Alliluia.

TROPARI

Esfraghismènu tu mnìmatos, i zoì ek tàfu anètilas, Christè o Theòs; ke ton thìron keklismènon, tis Mathitès epèstis i pàndon Anàstasis, Pnèvma evthès dhi aftòn enkenìzon imìn, katà to mèga su èleos.

I ke en tàfo katìlthes, Athànate, allà tu Adhu kathìles tin dhìnamin ke anèstis os nikitìs, Christè o Theòs, ghinexì mirofòris fthenxàmenos. Chèrete, ke tis sis Apostòlis irìnin dhorùmenos, o tis pesùsi parèchon anàstasin.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA (Atti 5,12-21)

In quei giorni, molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti. Si alzò allora il sommo sacerdote e quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducei, pieni di livore, e fatti arrestare gli apostoli li fecero gettare nella prigione pubblica. Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione, li condusse fuori e disse: “Andate e mettetevi a predicare al popolo nel tempio tutte queste parole di vita”. Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare.

VANGELO (Gv. 20,19-31)

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i Discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, non rimessi resteranno”. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era anche con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

MEGALINARIO

Se tin fainìn lampàdha, ke Mitera tu Theù, tin arìzilon dhòxan, ke anotèran pàndon ton piimàton en ìmnis megalìnomen.

KINONIKON

Epèni, Ierusalìm, ton Kìrion; èni ton Thèon su, Siòn. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs anèsti…

OPISTHAMVONOS

Signore Gesù Cristo, che ci hai rilevato nella tua Carne una via nuova e vivente, una vita nuova, col costituirti nell’incorruttibilità primizia della risurrezione dai morti, hai dato anche la speranza della tua perenne immortalità! Oppressi intanto dalle passioni, chiediamo il tuo aiuto, o Signore; rintuzza gli assalti dei nostri nemici invisibili; abbi compassione di coloro che sono schiavi del peccato; concedi la tua pace a noi come la desti ai tuoi discepoli quando comparisti in mezzo a loro a porte chiuse; rendici incrollabili nella fede in te, che per noi hai patito e sei risuscitato; in essa tu hai confermato il tuo discepolo Tommaso con l’ineffabile tua apparizione e col contatto della tua Carne risorta, liberandolo dalla sua prima incredulità. Signore, sei tu che fai cose mirabili e che trasmuti ogni cosa; a te si deve gloria insieme col Padre e con lo Spirito Santo ora e sempre e nei secoli dei secoli.

APOLISIS

O ton thànaton patìsas ke ton Thomàn pliroforìsas…

SALUTO PASQUALE

Sac.: Christòs anèsti
Pop.: Alithòs anèsti

Sac.: Krishti u ngjall
Pop.: Vërteta u ngjall

Sac.: Cristo è risorto
Pop.: È veramente risorto

Zi ke vasilèvi is pàntas tus eònas. Amìn.

Sac.: Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas …
Pop.: Ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

Commento al Vangelo:
Questo brano riferisce due apparizioni del Risorto: l’una ai discepoli, la sera dello stesso giorno di Pasqua, l’altra a Tommaso, otto giorni dopo. Al termine di queste due apparizioni, si ha la prima conclusione dell’intero vangelo.
L’inizio del racconto vuole far capire che il Risorto che appare è il Gesù crocifisso sul Calvario. Da una parte l’entrare a porte “chiuse”, il fermarsi “in mezzo” agli apostoli e il rivolgere loro la parola dicono chiaramente che Gesù è vivo e possiede un’esistenza del tutto nuova, non quella del semplice tornato in vita, come Lazzaro. D’altra parte Gesù “mostrò loro le mani e il costato”, cioè i segni che il martirio subìto avevano provocato sul suo corpo. Il mistero pasquale consiste proprio nell’identità tra il Gesù del venerdì santo e il Signore della domenica di Pasqua e di tutto il tempo della vita della Chiesa. Credere fermamente che Gesù è risorto e che la sua risurrezione è causa anche della nostra, è sorgente di forza e di speranza.
I doni del Risorto possiamo ridurli a tre: il conferimento della missione, il dono dello Spirito Santo e il potere di rimettere i peccati. Il conferimento della missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Il parallelismo Padre-Figlio e Figlio-credente, caratteristico del linguaggio di Giovanni, è ben più che una semplice analogia: realmente Gesù conferisce ai suoi la missione che ha ricevuto dal Padre. La frase più vicina alla nostra è quella della preghiera sacerdotale: “Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo”. Il dono dello Spirito Santo: “Gesù alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo”. Il verbo greco “emfjsào”, soffiare, usato per indicare la trasmissione dello Spirito, ricorre solo qui nel Nuovo Testamento ed è anche assai raro nell’Antico Testamento; ricorre in Genesi quando Jahwè soffia lo spirito di vita sulla creta per essere uomo vivente, poi in Ezechiele per descrivere la nuova vita delle “ossa aride”. Questo contesto generale ci porta a ritenere che nel nostro versetto si parli di un nuovo atto creativo: mediante il dono dello Spirito, Gesù compie nei discepoli una nuova creazione. Non possiamo qui specificare adeguatamente il rapporto tra questo dono dello Spirito e quello della Pentecoste narrato dagli Atti degli Apostoli. Molti studiosi ritengono che Giovanni abbia anticipato qui il fatto della Pentecoste per esprimere così la totalità tra i due avvenimenti. Il potere di rimettere i peccati: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi”. Il Risorto conferisce questo potere a quanti si trovavano in quel determinato luogo a porte chiuse, cioè agli apostoli; conseguentemente si tratta di un potere di carattere ecclesiale concesso agli apostoli e ai loro successori.
L’adesione di fede nel Figlio di Dio: nella seconda apparizione, avvenuta “otto giorni dopo”, predominano la persona del Risorto e quella di Tommaso. Quest’ultimo è disposto a fare propria la lieta testimonianza degli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore” soltanto se controllerà fisicamente nel Risorto i segni della passione. Con questo atteggiamento di Tommaso, l’evangelista ha in modo di portare avanti l’identità già riscontrata tra il Crocifisso e il Risorto. Con sconfinata condiscendenza Gesù viene incontro alla pretesa di Tommaso e lo porta a proferire la più alta professione di fede presente nel quarto vangelo: “Signore mio e Dio mio!”. L’esatto sfondo per capire tale risposta è quello dell’Antico Testamento, dove le parole “Signore” e “Dio” corrispondono ai nomi ebraici di “Jahwè” e “Elohim” e sono molto vicine a quanto scrive il Salmo 35: “Mio Dio e mio Signore”. Con la tecnica, abituale nel Nuovo Testamento, di trasferire su Cristo quanto l’Antico Testamento dice di Jahwè, qui viene proclamata esplicitamente la divinità del Crocifisso-Risorto che Tommaso ha davanti. Le altre professioni di fede, che Giovanni dissemina nel suo vangelo – quali quella di Natanaele, degli abitanti di Sicar, di Simon Pietro, del cieco nato e di Marta – rimangono al di sotto di questa di Tommaso. Da questo momento in avanti il resto del nostro testo non fa altro che sottolineare il tema della fede: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.
L’intero brano deve essere letto in chiave liturgica ed eucaristica, nel contesto dell’assemblea domenicale. È quanto ci suggerisce il testo stesso con le frasi: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”, cioè la domenica, “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa”, dove quel “di nuovo” suggerisce che i discepoli si riunivano ogni settimana, di domenica, e non ogni giorno. Ricordiamo che quando Giovanni scriveva l’assemblea eucaristica domenicale aveva già avuto un buon collaudo; si vedano Atti 20, 7-11 (la celebrazione domenicale a Triade) e 1Cor 16,2 (la celebrazione domenicale a Corinto). È dagli scritti di Giovanni che proviene il termine “giorno del Signore” o domenica.

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